Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Gli occhi rispecchiano un crescente furore

Fin da bambina ho sempre amato scrivere.
Mi ricordo che, da piccola, il mio gioco preferito era costruire nella mia mente storie immaginarie e, quando conobbi l’arte della scrittura, scriverle. Per me, quindi, inventare storie fantastiche è sempre stato molto facile; l’unica cosa che mi ha bloccata per molto tempo è stata la realtà.
Gli uomini non pensano mai al presente ma hanno sempre la mente proiettata al futuro o rimpiangono il passato: nessuno nota la vita che li circonda. Per questo mi risultò molto difficile tentare di scrivere un testo riguardante la mia vita che non fosse un diario.
Come tutti sanno, una delle cose più importanti per scrivere è l’ispirazione; questa può colpire gli uomini in modi diversi: una canzone, un film, l’emozione di un momento, un paesaggio, una persona…
Nel mio caso l’ispirazione è dovuta a un luogo particolare: mi trovo su un’amaca che ciondola avanti e indietro, è mattino presto , il cielo è blu e c’è il sole, la pace mi circonda, sono sola. Tutto ciò è molto strano, troppo direi: non mi trovo su un’isola deserta ma, al contrario, nel bel mezzo di Milano. Per essere ancora più precisa, mi trovo nel cortile interno di un centro sociale e le mura di queste palazzine mi hanno dato l’ispirazione.
Ci sono momenti in cui ci fermiamo a pensare perché ci troviamo in un determinato luogo, cosa ci ha spinto a fare alcune scelte e non altre piuttosto che ascoltare i consigli delle persone o seguire solo il nostro istinto.
Ripensando alla mia storia penso che tutto abbia avuto inizio un pomeriggio di Settembre.
Mi trovavo su un muretto, seduta in fila con altri ragazzi, a osservare il vuoto, la strada, le persone che tornavano a casa e la vita frenetica di tutti i giorni. Nessuno guardava davanti a sé: avevano tutti gli occhi bassi, nessuno sguardo, nessun sorriso, nessuna gentilezza.
La scuola era iniziata già da qualche settimana, i viaggi estivi sembravano ormai così lontani e le giornate erano sempre più grigie e corte. Tutti quei ragazzi, quelli del muretto, avevano gli sguardi vuoti e spenti (come me, del resto). Ogni pomeriggio ci trovavamo lì, per non rimanere soli e poter parlare, scherzare, fare nuove amicizie o stare solo in silenzio.
Il silenzio, in quel periodo, era la cosa che mi piaceva più di tutte; l’adoravo a tal punto che l’unica cosa che facevo nel mio tempo libero era ascoltare, stando in silenzio. Pensavo che le parole fossero sprecate; in fondo quasi nessuno mi ascoltava o dava importanza ai miei pensieri, mi sentivo sola. Non mi rispecchiavo nei miei coetanei: avevo altri pensieri, altri interessi, troppo diversi e distanti dai loro e mi sembrava che la vita non potesse offrirmi nulla d’interessante; in realtà, probabilmente, ero io che non sapevo cogliere le occasioni che mi si presentavano.
Trovavo la mia vita priva di emozioni. Non di amore, quello no…
La mia famiglia è da sempre la migliore che chiunque possa desiderare e non mi è mai mancato nulla, tuttavia non provavo più da tempo quella felicità che dovrebbe caratterizzare una persona della mia età.
Rimanevo lì: gli occhi fissi sulle macchine che passavano e la mente lontana, ricordando per l’ennesima volta tutte le meraviglie viste d’estate durante il viaggio in Francia…
Quando all’improvviso qualcosa mi riportò alla realtà.
Un ragazzo, forse mai visto prima, si fermò esattamente di fronte a me. Era diverso da tutte le altre persone, riusciva a distinguersi. Me lo ricordo ancora come se fosse oggi. Sembrava pronto per un combattimento: dei pantaloni larghi e stacciati all’altezza del ginocchio, un moschettone pieno di chiavi attaccato alla cintura, un giaccone troppo pesante per quel periodo e uno zaino pieno!
Dopo avermi guardata per qualche istante, incominciò: «Strano, non mi sembri una nullafacente, sei diversa da questi ragazzi che ti circondano. Però nemmeno ti conosco, non sta a me dirti che stai sprecando il tuo tempo!». Inizialmente cercavo di ricollegare il suo viso e le sue espressioni a qualcuno che potessi conoscere ma dopo le sue parole ricordo solamente la rabbia e l’imbarazzo che crescevano sempre più dentro di me.
Poiché rimanevo in silenzio il ragazzo continuò: «Tranquilla, non sono uno stalker. Piacere, sono Riccardo, lo so di essere troppo invadente, in fondo ti ho visto solo qualche volta seduta qui però sentivo il bisogno di dirti il mio parere».
Continuavo a guardarlo stupita e curiosa; mi domandavo per quale motivo si interessasse così tanto a una sconosciuta.
«Bé, cosa vuoi fare? Rimanere lì seduta, senza parlare, tutto il giorno? Ora dovresti dirmi il tuo nome» continuò.
Ogni volta che ci ripenso non posso fare a meno di ridere notando che stavo proprio facendo la figura dell’ebete.
Alzandomi, quasi in segno di sfida, gli risposi: «Ciao, sono Alice. Credo sia un po’ presuntuoso da parte tua darmi della nullafacente se nemmeno mi conosci, non pensi?».
Il ragazzo scoppiò a ridere e, ancora divertito, disse: «Non hai risposto alla mia domanda: hai intenzione di rimanere qui per tutta la giornata?».
Ricordo ancora che, in quel momento, ho visto la prima occasione che mi concedeva la vita dopo molto tempo. Fosse stato per me, per la mia timidezza, sarei rimasta lì, fortuna che c’era Riccardo. Anche se ero solo una sconosciuta, mi prese e mi portò con sé.
Andammo in un posto che mi ha letteralmente cambiato la vita: un centro sociale.
Purtroppo le persone tendono ad associare questo luogo a cose negative, illegali e pericolose; all’inizio anche io la pensavo così però, col tempo e l’esperienza ho cambiato totalmente idea. Si tende ad abbinare i centri sociali solamente alla politica, alle proteste, al terrorismo, alle droghe e all’illegalità ma, ora so con certezza che non è solo questo.
Grazie a questo luogo io, come moltissimi altri ragazzi, ho imparato tante cose e ho cambiato totalmente la mia vita. I centri sociali hanno salvato la vita di molti ragazzi, un po’ anche la mia, che invece di girare per la città senza una meta e senza nulla da fare trovano degli impieghi e dei nuovi amici.
La mia vita silenziosa, anche grazie a Riccardo, è diventata improvvisamente rumorosa e movimentata: ho conosciuto e continuerò a conoscere tante persone diverse, ognuna speciale a modo suo.
Un ragazzo, in particolare, non dimenticherò mai: una sera, anche se eravamo solo due sconosciuti, mi regalò un libro. Lui, quel ragazzo, mi ha iniziata a John Steinbeck e alla meravigliosa avventura di Tom Joad in Furore.
Questo romanzo e la situazione del tutto nuova che stavo vivendo mi trasportarono totalmente in un’altra dimensione. Furore pur senza parlare di attualità, mi fece conoscere di più il Mondo di quanto potesse fare un qualsiasi giornale o saggio di oggi.
Infatti grazie a quel libro riuscii a capire gli artisti Romantici che la professoressa di italiano elogiava tanto: è proprio vero che l’arte è senza tempo e confini.
È proprio questa una delle cose che ho capito di più da questo romanzo: una qualsiasi opera può avere cinquanta, cento, mille o più anni ma sarà per sempre in grado di suscitare emozioni. Che cosa splendida pensare che un romanzo in grado di commuoverci, farci sorridere, metterci di buon umore o deluderci potrà fare lo stesso con i nostri pronipoti.
Basta pensare che solo dopo poche pagine della celebre opera di Steinbeck non si leggono solamente le avventure di Tom e della sua famiglia ma si diventa un compagno di viaggio, un membro dei Joad. Un libro come Furore travolge, stravolge e devasta tutte le aspettative ma, allo stesso tempo, ci insegna a vivere la vita. Tom fa capire che i problemi vanno affrontati di petto. Anche le questioni sociali affrontate da Steinbeck non colpiscono solo quei poveri contadini americani ma anche noi, che li accompagniamo e li sosteniamo passo a passo in tutte le loro disavventure.
Ora, che non sono più sola perché ho sempre dei compagni vicini a me, grazie a Furore ho imparato a sostenere e aiutare le persone: a essere una compagna.
Non ho più lo sguardo e la mente vuoti ma pieni di furore! Un furore che non si spegnerà facilmente ma continuerà ad ardere nei miei occhi per molto tempo, come ardeva in quelli di Tom, è la vita. Queste sono le esperienze che fanno crescere, queste mi stanno trasformando e mi trasformeranno della donna che vorrei diventare.
In questo periodo penso sempre a una frase che dovrebbe aiutare tutti noi ad affrontare nel migliore dei modi la nostra vita e a cui dovrebbero pensare tutte le persone con gli «occhi troppo vuoti».
Diceva Tom:

Mamma, dovunque c’è un poliziotto che picchia un ragazzo, dovunque c’è un neonato affamato che piange, dove c’è una lotta contro il sangue e l’odio nell’aria cercami mamma, io sarò lì. Dovunque c’è qualcuno che combatte per un posto in cui stare o per un lavoro decente o per una mano d’aiuto, dovunque qualcuno lotta per ottenere la libertà, guarda nei loro occhi, mamma, e vedrai me.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010