Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Un’esperienza di lettura

Quale incanto apparve davanti ai miei occhi, quale opera d’arte.
Le porte di mogano scuro e lucido si erano spalancate su uno spiraglio di paradiso: mi trovai gettata violentemente in mezzo a un’infinità di opere d’arte; erano lì, davanti a me, mi attendevano, mi accoglievano tra le loro braccia aperte. Mossi il primo passo e una ventata di aria fresca mi accarezzò il viso scivolando nella stanza da una finestra alla mia sinistra; recava con sé un odore delicato che conoscevo bene: era fragrante, stuzzicava appena il naso. Un sorriso sbocciò sul mio volto, perché quello che sentivo e che mi riempiva i polmoni era il profumo intenso dei libri.
Ce n’erano a centinaia, stipati sugli scaffali, secondo una logica che doveva essere ben definita, ma che lo sguardo non coglieva. Quali opere d’arte, quale incanto.
I miei occhi volarono su quelle mensole, accarezzarono con profondo piacere quei dorsi variegati, quelle copertine che a malapena si intravvedevano, se ne sentirono colmati. Erano pura sensazione.
Solo lui riuscì a riscuotermi da quel senso di perdizione provocato dall’emozione. Mi posò delicatamente una mano sulla spalla, poi avanzò sotto l’alta volta a crociera che incorniciava la biblioteca. Allora mi riscossi e lo seguii, avvicinandomi ai libri con un forte timore reverenziale, alzando la mano per sfiorarli. Pura sensazione.
Smossi un piccolo tomo con delicatezza, e lui dovette sentire di aver finalmente cambiato posizione dopo tanto tempo, perché emise una lunga serie di sfrigolii d’eccitazione. Quando lo aprii, le pagine si rivelarono spesse e ruvide, vergate in caratteri alti e chiari. Non lessi il titolo né mi sentii particolarmente toccata dal peso e dall’aspetto del libro: era troppo ansioso di essere letto, troppo impaziente di mostrare le proprie mirabili pagine. Così lo richiusi e lo riposi al suo posto, avvertendo nello sfregare della sua copertina contro le altre una vaga malinconia.
Cercavo qualcosa di più quieto, qualcosa che fosse rimasto dimenticato per anni, che avesse aspettato tranquillamente il proprio lettore, immerso in un profondo silenzio. Mi chinai fino allo scaffale più basso, soggiogata da una curiosità incalzante, un calore che nasceva dal cuore, inebriato da tutte quelle storie a mia completa disposizione. I libri situati più in basso avevano un aspetto più imponente e colori più spenti; ne scelsi uno senza riflettere, semplicemente allungai la mano e trassi dalla massa un solo volume. La sua voce era cupa e, quando lo aprii, le pagine sottili a malapena bisbigliarono. Il loro peso, tuttavia, mi costringeva a serrare la presa sulla copertina. Iniziai a sentire l’anima del libro, i miei occhi furono attratti sulla prima pagina. Non lessi il titolo, ma iniziai a leggere la prima frase.
Come incantare con le parole? Come creare e far nascere nei cuori dei lettori sentimenti che mai avevano provato prima, mai con tanta intensità? Come modellare il foglio sotto la leggera, lieve e delicata pressione della penna, come sigillare giuramenti segreti con l’inchiostro, come trasmettere attraverso le forme armoniose e il suono modulato emozioni tanto pure e innocenti quanto ardenti e passionali? Sarebbe come un effluvio di parole ininterrotto, un unico pensiero condiviso, un filo intrecciato dallo scrittore e raccolto dal lettore, che, come un moderno Teseo, si districa nel labirinto dell’artista.
In fondo, la carta e l’inchiostro sono gli intermediari, il luogo ove i cuori si incontrano. Inizia tutto con un sogno: il sogno di un giovane solitario che scruta l’infinita profondità del cielo stellato da un buio appartamento parigino, un sogno coltivato così a lungo, con tanta sentita e ossessionata dedizione da condizionare tutta la sua vita. L’appartamento è spoglio, ma il baluginio delle stelle illumina un foglio bianco e una penna argentata. Gli strumenti della sua anima, del suo spirito.
Quelle parole vergate con tanta fretta da una mano resa tremante dalla stessa incertezza della vita feriranno gli occhi di una ragazza, perduta nei meandri di una biblioteca milanese. È iniziato con un sogno, finirà con un altro incanto.

È mai possibile che dal cuore alla testa, alla mano, al foglio e nuovamente dal foglio agli occhi, alla testa e al cuore due persone possano mai sentirsi davvero vicine? È mai possibile che queste parole, il cui segno nero è quasi un’opera d’arte e il cui suono è quasi una sinfonia, possano far librare in alto due o più cuori, come in preda a una brezza mattutina?
Senza neanche rendermene conto, mi ero seduta per terra, a gambe incrociate, il libro aperto in grembo. Ma non ero sola: la schiena di lui era contro la mia. Eravamo rivolti rispettivamente verso gli scaffali opposti, leggevamo entrambi, il sorriso illuminava entrambi i nostri volti. Eravamo completamente assorti nella lettura, dovevamo apparire completamente estraniati dal mondo concreto, dal mondo non costituito da lettere e immagini fantastiche al quale ci eravamo sottratti. Il contatto delle nostre schiene, però, ci rendeva consapevoli della presenza dell’altro, ne eravamo rassicurati e rasserenati; ci appoggiavamo l’uno all’altra come se non avessimo avuto altro al mondo a cui aggrapparci, con un’intaccabile fiducia, con un trasporto di cui a stento ci rendevamo conto. Scorreva attraverso di noi un affetto elettrico e primigenio che trovava le sue fondamenta radicate a fondo nei nostri giovani cuori. Quella felicità fluiva dal contatto della pelle sotto alle magliette leggere fino al cuore, dove si mesceva con la miracolosa sensazione della lettura.
Mai avrei creduto di poter essere posseduta da un libro a tal punto; mai avrei creduto di potermi sentire schiava di quelle parole, di poter dipendere da esse come se fossero mio stesso nutrimento. All’improvviso, quelle frasi tanto armoniose, quelle espressioni studiate e dalla dolcezza travolgente, travolsero il mio animo e diedero una voce chiara e limpida alle mie sensazioni indefinite. Non erano solo i personaggi, non era solo l’atmosfera che respiravo, era la vita stessa dello scrittore. Le sue esperienze, i suoi dolori, le sue gioie, la sua realizzazione che sfociavano in un’abilità e in una bravura tali da meritare, io credo, di essere ricordati per sempre. La sua stessa essenza era infusa in quel libro e io la sentivo già sfiorare il mio animo, dapprima con moderata delicatezza, in seguito con forza più travolgente.
In modo simile i libri sono in grado di modellare e di forgiare gli spiriti dei lettori, se questi sono pronti ad accettarlo.
Quando calò la sera, il sibilo delle pagine ancora risuonava nella biblioteca vuota, mentre i nostri esseri si ritrovavano assorbiti nelle pagine, ancorati ai corpi solo grazie a quel contatto fisico delle nostre schiene che non aveva cessato di esistere.
Fu proprio una frase di intensa bellezza e di profondo significato a sconvolgermi a tal punto da farmi tornare in me stessa, da convincermi a provarne il valore sulla mia stessa pelle, nella mia vita:

i loro occhi erano pieni di un discorso più serio; e mentre si sforzavano di trovare qualche frase banale, si sentivano invadere insieme dal medesimo languore; era come un mormorio dell’anima, profondo, continuo, che dominava quello delle voci. Colti dallo stupore di quella soavità tutta nuova, non pensavano a comunicarsene la sensazione o a scoprirne la causa.

Il mio cuore ebbe un sussulto, il mio respiro si fermò. In quel momento sentii l’incalzante bisogno di sapere quale animo mi aveva appena travolta, unendosi al mio. Feci scorrere lentamente le pagine, fino a raggiungere il frontespizio. Lì vi trovai scritto, in caratteri barocchi: Madame Bovary, di Gustave Flaubert.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010