Leggere e sfogliare un libro
Leggere e sfogliare un libro è come accarezzarne le pagine, cercando di schiuderne la storia che vi sta scritta. La sensazione concreta della carta che scorre da sotto le dita si contrappone al lavoro astratto della mente, che traduce piccoli segni in concetti, ricrea spazi, mondi e personaggi in modo personale.
Tutto l’universo di scene e pensieri che chi legge si immagina non sarà mai del tutto uguale a quello di un altro lettore.
È la capacità di quei fogli sottili, che in pochi grammi di carta cullano intere vite, ad affascinarci.
Mi ricordo dei primissimi anni di scuola: mi stupivo quando riuscivo a collegare alle lettere b, a, m, b, o, l e a l’idea del giocattolo che mi aspettava abbandonato sul letto, la sensazione delle mani strette sopra la plastica, mentre pettinavo capelli di stoffa. Non vedevo l’ora di essere abbastanza abile a sillabare a fior di labbra le parole scritte per poter leggere il mio primo libro.
I romanzi più belli li ho letti più e più volte, sino a impararne a memoria interi passaggi, a sgualcirne le pagine e a graffiarne le copertine. Trovo molto bello vedere volumi vissuti, perché così non ci si vede solo una storia. I libri preferiti, infatti, sono anche pieni di ricordi personali che si rivivono ogni volta che lo sguardo si posa su di loro: torna alla mente la circostanza in cui li abbiamo acquistati, il luogo, il nostro stato d’animo mentre li leggevamo per la prima volta, le persone che frequentavamo.
E, come quando gli argomenti trattati ci toccano tanto da influenzarci, come quando ci immedesimiamo nei personaggi, la nostra storia si intreccia con quella del libro.
Questa sensazione l’ho già provata più volte, come quando, un paio di anni fa, lessi High and dry – Primo amore di Banana Yoshimoto. Lo feci in un periodo particolare come solo le vacanze estive, per una studentessa, sanno essere: pigri e quasi lascivi, i giorni si trascinavano alla luce del caldo sole di agosto.
Ero in un paesino di montagna dove non conoscevo nessun coetaneo con cui passare il tempo. Così, spesso mi immergevo nella lettura di High and dry: la delicatezza con cui la scrittrice parlava, di ogni cosa, in ogni pagina, mi faceva trovare tutto un poʼ più poetico.
La protagonista di questa storia è Yūko, una ragazza di quattordici anni dotata di una grande sensibilità che la fa vivere con una consapevolezza e un modo unico di affrontare ciò che le accade. Interpreta tutti gli avvenimenti, anche i più banali, come fossero unici, quasi magici. Questo la accomuna a Hisakura, il suo maestro di disegno, di cui si innamorerà e con cui condividerà molte delle sue sensazioni.
Riuscivo molto facilmente a immedesimarmi in quella ragazza, avendo poco più di un paio di anni in meno di lei, anche se non condividevo molti dei suoi pensieri, troppo lontani dal mio modo di affrontare la vita.
Altre parti del libro mi erano, invece, un po’ estranee: molte volte faticavo a leggerlo e lo trovavo poco scorrevole. Non riuscivo a interpretare alcuni passaggi ed ero praticamente convinta di avere fra le mani quasi una specie di fantasy; quando la scrittrice si immergeva nel mondo immaginario e figurato che Yūko e Hisakura condividevano, infatti, non sapevo bene come interpretarlo.
Quindi, non potevo cogliere del tutto il significato del libro della Yoshimoto.
Eppure, lei riusciva a trasmettermi ugualmente molte emozioni, facendomi riflettere e donando alle mie giornate una sensazione di tranquillità molto dolce e ovattata.
Molti ricordi di quei giorni in montagna sono legati a quel libro. Guardando la sua copertina color panna mi rivedo seduta su un prato, circondata dai monti.
Fu anche per questo se poco tempo fa decisi di rileggerlo.
Inoltre, mi chiedevo quanto poteva cambiare l’interpretazione che ero in grado di dare a una storia nel giro di alcuni anni.
E la risposta fu: davvero tanto.
Forse perché ero più grande, la scuola non era ancora finita, il tempo era freddo e la pioggia cadeva fitta ogni giorno, non ritrovai più del tutto l’alone delicatissimo di tenerezza che mi aveva colpito la prima volta. Ero in grado di spiegarmi meglio ognuno degli elementi del libro che mi avevano lasciata un poʼ confusa, e forse anche per questo non provai la lieve sensazione di mistero che sentivo qualche anno prima. La storia sembrava più comprensibile, leggera e scorrevole.
D’altro canto, in questo modo potei andare più a fondo. Più a fondo in quella complessa storia d’amore, platonica e dolce, fatta di momenti quotidiani che, condivisi, diventano unici e speciali come i due protagonisti; più a fondo nell’equilibrio delicato, a tratti molto instabile della famiglia di Yūko che cresce con la madre, all’apparenza fredda, mentre il padre viaggia in paesi lontani, lasciando come solo segno della sua presenza un fantasma fatto di telefonate e regali. Più a fondo nelle sensazioni tipiche dell’adolescenza, un’età di trasformazioni che la protagonista vive con una tenerezza e sensibilità fuori dal comune.
Se pensassi che la bellezza di un libro sia data solo dalla scorrevolezza delle frasi, dall’argomento trattato e dal potere effimero di far sorridere per il tempo di leggere qualche riga, non considererei High and dry uno dei libri che mi è piaciuto di più.
Ce ne sono stati altri che ho letto in meno tempo, trovandoli più scorrevoli.
Altri mi hanno commossa maggiormente. Altri mi hanno fatto trattenere il fiato sino all’ultima pagina.
Qual è quella caratteristica particolare, quel dettaglio focale, quella marcia in più propria di High and dry? Cosa lo rende speciale, cosa lo distingue da mille altri?
Cosa me lo fa considerare, allora, uno dei miei libri preferiti?
È il fascino che, come un dolce miele, trapela dalle parole della Yoshimoto, che ha la rara capacità di influenzare il lettore giorno per giorno, per anni. La sua bravura è proprio nello scatenare qualcosa dentro, qualcosa che non si fermi a essere una emozione, con un inizio e una fine, ma divenga un sentimento destinato a durare.
La vera bellezza di un libro non sta in quanto questo ci colpisce ma per quanto lo fa: in molti possono emozionarci, spaventarci, commuoverci per qualche tempo, ma solo pochi riescono a cambiarci.
E Banana Yoshimoto, in High and dry – Primo amore ci riesce, colpendoci con la sua astratta e favoleggiante visione della vita e riuscendo a farci notare quanta poesia ci sia in essa.
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