Riflessione sul libro Il bambino di Noč
Il protagonista del libro Il bambino di Noè, tratto da una storia vera e scritto da E. Schmitt, è Joseph, un bambino ebreo di sette anni che vive in Belgio, nel 1942.
Separato dalla sua famiglia per non essere catturato dai nazisti, è accolto da un prete cattolico: Padre Pons, che lo nasconde sotto falso nome in un collegio insieme a molti altri ragazzi ebrei.
È sicuramente un romanzo che colpisce e prende molto il lettore; è raccontato dal punto di vista di Joseph, che, a parer mio, ha una mentalità e un pensiero superiore ai bimbi della sua età, forse perché in un periodo del genere, crescendo con la guerra, ha dovuto imparare a diventar grande, scordando un po’ l’essere bambino.
A parte il periodo storico, che come ben sappiamo ha segnato per sempre la Storia, mi ha fatto riflettere molto il titolo di questo romanzo: Il bambino di Noè.
Sono giunta alla conclusione che Noè, per Joseph, era padre Pons, colui che gli aveva salvato la vita, l’aveva accudito, è stato il suo salvatore, se così vogliamo chiamarlo.
Riporto un dialogo del romanzo: «Lei ha preso Noè a modello?».
«Sì. Colleziono come lui. […] In questo momento sto facendo due collezioni: la collezione zingara e la collezione ebraica. Tutte cose che Hitler vuole annientare».
Qui si capisce molto del parroco, come Noè, il quale costruì l’arca per salvare tutti gli animali e la sua famiglia dal diluvio universale, così fece padre Pons con le minoranze minacciate da Hitler durante la seconda guerra mondiale.
Si schierò dalla parte dei più deboli, dei più bisognosi, coloro che non avevano colpa di esser nati.
Inoltre, tra questi due personaggi: padre Pons e Joseph, vengono messe in evidenza un po’ le differenze tra ebrei e cristiani: l’ebraismo poggia sul rispetto, il cristianesimo sull’amore.
«Facciamo un patto, vuoi? Tu Joseph, farai finta di essere cristiano, e io farò finta di essere ebreo. Questo sarà il nostro segreto, il più grande dei segreti. Potremmo morire piuttosto che tradire questo segreto. Giurato?».
«Giurato».
Patto che avviene tra i due, forse per solidarietà o forse per farsi forza a vicenda.
Per far sentire Joseph meno solo, meno sbagliato, perché, secondo me, è proprio così che si sente, abbandonato a se stesso, senza genitori, amici o affetti; e quando si è così, svuotati di tutto, si necessita di una figura importante, di comprensione, e padre Pons è stato la sua ancora di salvezza
Nel finale, Joseph, riesce a riunirsi alla sua famiglia, ma non capisce come mai i suoi genitori siano rimasti ebrei e non abbiano cambiato religione per non essere perseguitati, ma capirà quando imparerà ad accettare le proprie origini e le proprie radici, la propria cultura, gli usi e i costumi, tralasciando il lato religioso, quindi, non tenendo conto di essere credente o meno, senza rinnegare il proprio essere, riconoscendosi con gli altri del suo popolo, per ciò che hanno dovuto subire e per cosa hanno dovuto lottare: la libertà.
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