Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Un muro di carta ed inchiostro

Tic, tac.
Il grande orologio nella saletta segnava le quattro e ventisei.
Sarah sedeva sul grande tavolo posto al centro della stanza, le gambe penzoloni, mentre fissava la parete con aria assorta: la testa era piegata da un lato, come se fosse una bambina curiosa, le mani, poggiate in grembo, erano intrecciate in una presa indecisa.
Tic, tac.
Si mordicchiò il labbro inferiore. Tastò il tavolo sopra il quale era seduta, come se stesse cercando qualcosa, mentre il vecchio e arrugginito lettore cd faceva partire un brano dei Darkness. La sala si riempì del suono stridente della chitarra elettrica.
Chiuse gli occhi. Respirò profondamente.
Tic. Tac.
Vlup.
Talìa* strizzò in una presa ferrea il tubetto di tempera. Aveva sempre la faccia pensierosa quando lavorava a una delle sue opere, con la piccola lingua rosea stretta tra le labbra e gli occhi contorti tanto da mostrare le rughe intorno alle palpebre. Sarah pensò che fosse bella, con quella zazzera di capelli rosso fuoco, striati dai primi capelli bianchi, raccolti alla buona alla base della nuca grazie a un pennello. Sì, è bella. Di questo la piccola Sarah era convinta. E non era bella perché era carina, era bella perché lei aveva quel qualcosa… qualcosa che le faceva ardere gli occhi.
Talìa alzò lo sguardo, emergendo per qualche secondo da quel remoto nascondiglio in cui chiudeva la mente quando dipingeva. Sorrise a Sarah e si scostò un poco, ammirando il muro macchiato di colore.
Sarah non ne comprendeva il senso ma, d’altronde, non scorgeva mai un senso, quando si trattava delle opere di Talìa: era un guazzabuglio di colori – dall’azzurrino al rosso fuoco – che si intersecavano e sfumavano tra di loro, in un vortice di colori così avvolgente che Sarah non riusciva a smettere di fissare il muro.
– Che cos’è? – chiese, la voce labile e attutita dal pouf in cui era sprofondata, un agglomerato di stoffa di forma indefinita giallo senape.
Talìa si voltò, guardandola per soppesare bene la sua domanda, come se le avesse chiesto di risolvere un’equazione a mente.
Forse per lei era chiaro, ma Sarah faticava sempre a capire che cosa frullasse nella mente di Talìa: quella stanza era talmente piena di oggetti e ritratti stravaganti che ci si poteva mettere le mani nei capelli: ad esempio il vecchio pianoforte rosso fuoco, totalmente scordato, che giaceva in mezzo alla stanza, ma che Talìa adorava suonare. A Sarah però piaceva andare lì, passando ore a fissare Talìa dipingere e canticchiare tra sé e sé.
– A te cosa sembra? – uh, Talìa era davvero una campionessa olimpica nel gioco rispondi a una domanda con un’altra domanda. Sarah sorrise, ormai era abituata a ricevere risposte vaghe alle sue domande: Talìa preferiva che si facesse delle proprie idee riguardo alle sue opere. Il nodo della questione era che… Sarah non ne aveva. Potevano apparirle oggetti stravaganti ed eccentrici, ma non li capiva, finiva sempre per guardarli senza riuscire a coglierne il profondo significato.
Scrollò le spalle, affondando il mento tra le braccia.
Talìa sorrise, scrutando Sarah come se fosse una delle sue opere d’arte: intricata e inaccessibile.
Poi, come presa da un’ispirazione improvvisa, si voltò e lanciò una generosa quantità di colore sul muro, iniziando quindi ad armeggiare freneticamente con il pennello, sfumandolo in tutto il resto.
Sembrava aver creato, da colori inizialmente tenui, un vortice di colori forti ed energici. Era meraviglioso.
Così, mentre entrambe erano perse nel lavoro di Talìa, la domanda che Sarah aveva posto cadde nel dimenticatoio. Lei non sapeva spiegarsi bene come, ma non riusciva mai a stare al passo con Talìa: energica, solare, talvolta cupa e poi, improvvisamente, briosa. Si poteva definire la quinta essenza della donna lunatica.
Quando Talìa terminò il suo lavoro, i jeans avevano quasi del tutto cambiato colore e gli spruzzi di tempera le avevano tinteggiato i capelli. Si strofinò le mani con un panno, soddisfatta del lavoro che aveva appena concluso.
A volte Sarah era gelosa di tutto quel talento, e di tutta quell’astuzia nel nascondere i grandi significati della vita – o i più miseri, per quanto ne capiva lei – dietro semplici macchie di colore.
Le si avvicinò, chinandosi vicino al pouf fino a essere alla sua stessa altezza: le accarezzò una guancia con la punta dei polpastrelli. La sua pelle sapeva di tempera, carta e agrumi.
Le fece un sorrisetto malizioso, lanciandole in grembo un piccolo fagotto di carta. Sarah se lo rigirò tra le mani, la fronte aggrottata e le labbra schiuse, come se cercasse di formulare una domanda che non sapeva pronunciare.
– Prendilo, e poi ne riparliamo – mormorò, strizzandole l’occhio. – Ma non qui, ora la parete si deve asciugare e non voglio che ci giri intorno nessuno, okay? – okay.
Così Sarah uscì dalla saletta, rintanandosi in camera sua. Si gettò sul letto, rigirando il libro tra le mani come se fosse sul punto di esplodere: aveva una copertina piuttosto morbida di cuoio e un segnalibro in tessuto color crema, un po’ consunto sul bordo.
Con un sospiro, sfogliò rapidamente le pagine: era vuoto, le pagine leggere e color crema erano totalmente intatte. Sbigottita, lo richiuse, poggiandolo sospettosa sul letto, come se fosse un animale selvatico.
Lo fissò per circa trenta secondi, poi il libro ebbe la meglio: lo riaprì, sfogliandolo per sicurezza un’ultima volta. Dopo averlo controllato da cima a fondo e decretato che effettivamente non vi era scritta nemmeno una parola, Sarah lo lasciò aperto sulla prima pagina.
Sapeva perfettamente che Talìa si aspettava che lei combinasse qualcosa su quel libro, ma proprio non sapeva che cosa. Doveva forse disegnare con gli acquarelli? Ma lei non sapeva disegnare, né dipingere. Forse voleva che scrivesse? Ma che cosa?
Provò a disegnare il volto di Talìa, ma le riuscì solo di abbozzare una sottospecie di figura dai tratti vagamente umani. Sospirando, cancellò energicamente le tracce di matita dal foglio.
Gettò il libricino da un lato, sdraiandosi a pancia in su, le mani premute sugli occhi nello sforzo di concentrarsi.
Le serviva un’idea.
Poteva provare a scrivere un diario!
Agguantò il libricino, iniziando a scrivere della sua giornata, ma dopo circa metà pagina si era già bloccata: si sentiva stupida parlando dei fatti suoi a un oggetto inanimato. Perché nei film non sembrava sciocco? Forse perché avevano sempre qualcosa di molto eccitante da dire e profonde riflessioni da esporre. Lei però non viveva avventure, non combatteva contro draghi né si poneva quesiti sul senso della vita.
E poi le venne l’ispirazione.
Strappò il tappo della Bic con i denti, facendo a brandelli la prima pagina, dove giacevano parole spiegazzate, primo e unico tentativo di scrivere un diario.
Così, quasi presa da un’improvvisa impazienza, la penna prese a svolazzare, libera e veloce, sulla carta, tingendola di nero.
Nemmeno Sarah sapeva bene che cosa stesse facendo: la sua mano si muoveva, tracciando parole e delineando descrizioni, come se fosse stato rimosso il filtro tra i pensieri e le azioni.
Era come il cioccolato: non poteva fare a meno di continuare, ingozzandosi di parole.
Ogni tanto gemeva, lasciando cadere la penna, mentre la mano era scossa dagli spasmi, ma non ci badava molto, perché subito dopo ricominciava a scrivere, come presa da una frenesia.
Storie, luoghi e personaggi le affollavano la mente, ognuno di loro voleva emergere, voleva fare la sua comparsa nel mondo reale.
Un vortice di emozioni contrastanti le si delineava nei pensieri, mentre cercava di destreggiarsi tra un dialogo e l’altro, tra la descrizione di un personaggio eccentrico, di uno folle e di uno banale.
Quando Talìa bussò timidamente alla porta, probabilmente Sarah aveva lo sguardo spiritato e i capelli ricci scarmigliati, ma lei non ci fece caso. Effettivamente, tutta presa dalla scrittura, sembrava proprio Talìa quando era alle prese con la sua arte.
Sorrise quando la vide china sul libricino che le aveva consegnato.
– Oh, vedo che sei pronta per parlarne – ridacchiò, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sarah si mordicchiò il labbro inferiore, fissando Talìa con impazienza malcelata.
Non sapeva nemmeno lei perché le interessasse tanto quell’affresco, era semplicemente una cosa che le era entrata dentro: faceva parte di lei già prima che se ne accorgesse, era stata solo questione di comprendere che cosa fosse realmente e perché, di qualsiasi cosa si trattasse, quel muro la esprimeva appieno.
La donna le fece cenno di alzarsi e la scortò fino alla saletta dove erano rinchiuse tutte le opere di Talìa. La porta era chiusa e, quando la aprì, Sarah percepì un forte odore di tempera asciutta e di frescura . La stanza era fresca e piena di colori: la parete appena dipinta era viva, come se le onde di colore si muovessero, avviluppandosi ancora di più tra di loro. Era spettacolare. Tuttavia queste impressioni furono labili, effimere, durarono poco più di cinque secondi.
Sarah emise un sospiro secco, gli occhi spalancati, mentre le pupille si beavano di quel colore.
Perché, ora che lo rivedeva, riusciva a comprenderne esattamente il significato? Era strano, ma ora riusciva a destreggiarsi in quel mare di colori: associava ogni colore alla sensazione che provava nello scrivere una determinata storia.
Si sedette sul pouf, sprofondando in quella morbidezza, quasi in trance, mentre chiudeva gli occhi: riportò alla mente le sensazioni che l’avevano pervasa poco prima, rintanata nella sua stanza, e vide sbuffi di azzurrino, magenta, rosso, nero, grigio, verde, arancio, senape, acquamarina: tanti colori, emozioni che si fondevano le une con le altre, formando un caleidoscopio di tinte.
E si rese conto che ciò che era impresso su quella parete era lo spirito di ciò che aveva riversato lei in quel libricino: i sentimenti mortali, l’essenza di un uomo.
Rise, voltandosi a guardare Talìa, che le sorrideva con i suoi penetranti occhi verdi.
Chissà come, quella piccola donna l’aveva indotta a trovare la sua inclinazione. Aveva creduto che lei potesse essere un’artista e lo aveva dimostrato. Sarah rabbrividì, non per l’aria fredda trattenuta dalle pareti, ma a causa di questa nuova, eccitante emozione che era nata dentro di lei.
Era travolgente e sconcertante. Quell’emozione le era entrata dentro e aveva attecchito, modificando il suo stesso modo di vedere il mondo.
Da quel momento in poi quando leggeva i libri; scriveva racconti; ascoltava musica; guardava un vecchio film o osservava un dipinto, non scorgeva più solo vocaboli, immagini e parole, ma piccole armi appuntite che erano state addomesticate e intrecciate per dare un nome e un colore a ciò che di più profondo esiste nell’animo umano. A ciò che di più profondo esiste in lei.
Sobbalzò, macchiando la carta con l’inchiostro. Imprecò a mezza voce mentre arginava il danno tamponando il foglio con un canovaccio. Sua madre la fissava dalla soglia della piccola mansarda polverosa, gli occhi nocciola divisi tra lo scettico e l’arrabbiato: probabilmente l’avevano irritata i Black Kyes che tuonavano a gran voce per tutta la stanza. Sarah balzò giù dal tavolo, abbassando di circa una decina di tacche il volume dello stereo.
– Vado a fare la spesa, okay? – mormorò la madre, come se potesse importarle qualcosa, mentre si portava una ciocca bionda dietro l’orecchio. – Stai scrivendo? Per una volta non potresti studiare? – la ammonì, assumendo quell’aria da “è ora di crescere…”.
– Non ho compiti per domani – “uno a zero per me, donna” pensò Sarah.
La madre sorrise con fare sarcastico e la salutò di nuovo, lanciando un’occhiataccia allo stereo.
Sarah si voltò, portandosi alcune ciocche ribelli dietro l’orecchio: sopra il tavolo giaceva ancora il suo quaderno tutto consunto. Si mordicchiò il labbro inferiore, come indecisa sul da farsi. Passò mezzo secondo, quindi si arrampicò nuovamente sul tavolo e, incrociate le gambe, continuò semplicemente a scrivere.

*Talìa, Musa dell’antica Grecia.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010