Un'esperienza di lettura
Circa un anno fa ho letto un libro di Joseph Joffo intitolato Un sacchetto di biglie, del 1973.
Il libro narra le avventure dell'autore e di suo fratello Maurice nella Francia occupata dai nazisti. I due protagonisti provengono da una famiglia ebrea e di questa erano i più piccoli.
Anno 1941, iniziano le rivolte verso gli ebrei, che erano ritenuti inferiori o non puri rispetto agli altri popoli, così i due fratelli sono costretti a scappare verso la Francia libera, situata a sud, dove vivono Albert e Henri in altre parole i due fratelli maggiori, e dove li raggiungeranno i genitori, cosicché si stabilizzeranno a Nizza.
Prima di tornare a casa Joseph e Maurice si trovano in molte situazioni, quali dover lavorare per racimolare qualche soldo, camminare molto, alloggiare prima in un campo per ragazzi dello Stato e poi in casette di campagna; grazie a quest'ultima riusciranno a guadagnare molti soldi per comprare i generi alimentari sufficienti per sopravvivere e per altri scopi.
Infine quando finisce la guerra tutta la famiglia Joffo torna a Parigi nella vecchia casa, manca solo il padre morto nei campi di concentramento ad Auschwitz.
Quest'opera termina con delle riflessioni dell'Autore, che ormai quarantaduenne, guarda suo figlio dormire, augurandosi solo una cosa: “Che mai provi il tempo della sofferenza e della paura come lo ho conosciuto io durante quegli anni!”.
Infine, delle parole indicative a parer mio: “Ma cos'ho da temere? Cose del genere non si riprodurranno più, mai più. Le sacche sono in solaio e ci resteranno per sempre. Forse…”.
Queste frasi mi hanno fatto molto riflettere, soprattutto quel forse seguito da dei puntini di sospensione perché fanno capire al lettore, la paura dello scrittore nel pensare che la stessa situazione che lui ha affrontato da bambino possa riaccadere ai suoi tre figli.
Nel romanzo fuoriescono pensieri molto forti che riguardano il razzismo. Questo problema nonostante il passare degli anni, esiste ancora tra differenti etnie, ad esempio si utilizzano parole che io sinceramente disprezzo come negro. A parer mio, dovrebbe esserci un rispetto generale fra tutti i popoli del mondo, perché forse non siamo simili esternamente, ma tutti abbiamo un organo vitale di grande importanza, che invia impulsi buoni sottoforma di sentimenti: il cuore.
Un altro argomento che si affronta in questo romanzo è la guerra, secondo me è inutile dato che si provocano milioni di morti e non si risolve niente; ma si nota molto di più come viene descritta questa forma di aggressività agli occhi di bambini di dieci anni, che cercano di sfuggirvi scappando e lottando con tutto il loro coraggio che molte volte viene nascosto, ma che si tira fuori nelle situazioni drammatiche da affrontare.
Leggendo questo libro, mi è venuto in mente un film molto conosciuto in Italia per l'enorme successo ottenuto La vita è bella di Roberto Benigni o un altro ancora molto conosciuto in tutto il mondo e che ha vinto l'Oscar per la miglior regia e per il miglior film, diretto da Steven Spielberg: Schindler's List. Entrambi rispecchiano molto questo libro dato che parlano dello sterminio degli ebrei, magari diversi in qualche punto, ma il concetto è lo stesso, cioè far capire quale tragedia abbiano affrontato migliaia di ebrei, a causa di insensati pregiudizi.
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