Andare via
Accesi la sigaretta, la quinta quel giorno, e aspirai il fumo. Era qualche ora che me ne stavo così, seduta sui gradini del retro della cucina del college. Erano comunque le due di notte, nessuno sarebbe venuto a cercarmi e tanto meno nessuno si sarebbe accorto della mia assenza.
Meditavo su tutto quello che ultimamente mi stava circondando: dei genitori assenti e per i quali io sono una grande delusione, dei compagni che mi odiavano, e non parliamo dei ragazzi.
Ero abituata a fare stragi in questo posto, avevo ragazzi a destra e a manca eppure da quando avevo conosciuto lui, tutto era cambiato, sia in meglio che in peggio. Avevo ripreso a fumare, però mi svegliavo felice di vederlo. Piangevo più spesso, ma lui mi faceva fare delle grandi risate. Ancora mi chiedevo come fosse possibile che una persona mi avesse cambiato così radicalmente.
Feci un altro tiro, portando poi le mani sulle tempie e massaggiandole. Ero sicurissima che tra poco la testa mi sarebbe esplosa per tutti quei pensieri che ci giravano dentro, mi sembrava persino di sentire gli ingranaggi del cervello che giravano.
Come è possibile che l’unica volta che riesco a provare amore, esso mi sbatte la porta in faccia come se non fossi degna, di quella magnifica sensazione?
Pensai che potevo scappare da questa realtà, che mi andava troppo stretta e che non mi permetteva di respirare. Tanto che avevo da perdere? Assolutamente niente. Potevo andarmene e ricostruire una vita lasciando fuori il passato, lasciando fuori lui.
Mi distesi sopra gli scalini, anche se non ero molto comoda, per osservare le stelle. Mi sentivo così… piccola. Insomma ero sempre stata il centro di qualcuno, e adesso, guardando quella massa blu, trafitta da piccole luci, mi sentivo persa. Avevo capito troppo tardi, cosa fosse importante per me. Amicizia, amore e famiglia. Cose che non avevo mai provato sulla pelle e che quando provavo a spiegare al mio unico amico, Stephan, mi guardava con espressione persa e diceva di capirmi.
Ma io, come potevo essere capita da qualcuno se nessuno aveva mai passato tutto quello che stavo passando io?
Stephan.
Lui era il ragazzo da cui volevo scappare. Era il primo ragazzo che mi rendeva nervosa, non ero abituata a tutto ciò. Quando cominciai a sentire i sintomi dell’amore mi venne il panico. Era lui, dunque, il ragazzo che avrebbe distrutto tutte le mie barriere per sempre? Non lo sapevo. Potevo solo sperare, poiché era quello che stavo aspettando da sempre.
Consideravo l’amore come una malattia, qualcosa da cui non puoi e non vuoi guarire facilmente. Per me era anche qualcosa da bambini, cose che ci credi perché te lo inculcano in testa, mi resi conto infatti, che l’amore non esisteva, che era semplicemente un’effimera illusione creata da noi uomini per farci vedere più bello il viaggio su questa terra.
Nonostante tutto questo però, avevo sempre guardato le coppiette con aria sognante. Volevo che ci fosse quel qualcuno che tra tante avrebbe scelto me. Quel qualcuno che anche se mi aveva vista vestita dei miei difetti, mi avrebbe scelto senza esitazione. E, credetemi, ero piena di difetti e nemmeno io ne tenevo il conto.
Spensi la sigaretta che si era consumata, durante la revisione dei miei pensieri, ma decisi di starmene ancora sui quei gradini. Un pensiero arrivò dritto nella testa.
Avevo paura.
Anche quello era nuovo per me, non avevo paura di niente. In principio non capii di cosa io avessi paura. Ma man mano ottenni la risposta. Era paura di non essere scelta da lui, di non essere abbastanza. Io, Alex Jordan, avevo paura di cose che avevo sempre ritenuto inutili e perditempo. Da quando c’era lui, ero una continua contraddizione. Avevo il cervello in pappa, erano momenti come quelli in cui desideravo davvero spegnerlo per sempre, riconsiderai l’idea di andarmene per sempre. Pensai a quale mezzo usare e a dove andare. Non volevo andarmene utilizzando un aereo o una nave, volevo andare via in treno. Sì, in treno, così avrei guardato dal finestrino, scomparire il posto dove ero cresciuta e dove ero diventata quello che sono ora. Vedere scomparire tutto ciò che sono stata e tutto ciò che mi rappresentava.
Ne ero quindi, sicura, di volere ricominciare tutto da capo?
Avevo migliaia di domande che vorticavano nella mia testa e le risposte ammontavano a zero. Però, sì, ero convinta di volere ricominciare tutto da capo ed ero consapevole che significava farsi nuovi amici, trovare un lavoro, una scuola e tutto il resto, ma era tutto quello che volevo fare. Avrei avuto una seconda possibilità ed ero… felice, ecco, felice di riuscire ad azzerare il passato.
Andai in stanza cercando di non farmi scoprire, mi infilai nel letto e mi addormentai così, pensando a domani giorno in cui avevo deciso di partire, lasciando tutto alle spalle.
***
Mi svegliai un paio di ore prima della solita sveglia del college, per riuscire a preparare le valigie senza essere vista. Ci infilai dentro magliette, pantaloni, felpe, scarpe insomma tutto quello di cui avevo bisogno. A piccoli passi, arrivai alla porta, girandomi solo una volta a osservare la stanza e mi spuntò un sorrisino amaro. Aprii velocemente la porta e scappai verso l’ala maschile del college, volevo vederlo almeno un’ultima volta, vedere la sua espressione dormiente e incosciente di quello che stava per succedere, incosciente delle sensazioni che mi provocava e incosciente che stavo per andarmene. Entrai nel dormitorio e andai spedita nell’angolo della stanza dove si trovava il suo letto, senza fare rumore mi sedetti sul bordo del letto e lo osservai.
Come era bello.
Come era calmo.
Come era… semplicemente lui.
Sorrisi e mi avvicinai, lasciandogli un dolce bacio sulla guancia, lui cominciò a rigirarsi nel letto e uscii prima che potesse vedermi.
Ti amo.
Era l’ultimo pensiero che passò nella mia mente, attraversai i corridoi dell’edificio e scesi al piano terra, mi guardai in giro per controllare che non ci fosse nessuno. Campo libero. Arrivai alla porta, mi girai. Addio, addio vecchia me.
***
Avevo ragione, andare via in treno era stata la scelta migliore, più mi allontanavo, più stavo meglio.
Dormii un paio d’ore circa, prima di arrivare in una cittadella sperduta, molto lontana dal luogo dove mi trovavo prima. Mi sentivo finalmente libera, libera di fare quello che volevo. Mi diressi dalla stazione fino al centro della città, pranzai e decisi di girare un po’ quel posto che sarebbe diventato la mia nuova casa. Sentivo la testa completamente svuotata da tutti i miei pensieri che dominavano il sistema nervoso prima della mia partenza.
Ero a casa. Mentre pensavo andai a sbattere contro qualcuno. Alzai lo sguardo e incontrai degli occhi color cioccolato, accoglienti e molto belli.
«Scusa, non vedevo dove andavo» mi scusai subito ma non sembrava arrabbiato anzi, sorrideva. Quale persona sorride dopo essere stata ‘investita’ da una come me?
«Tranquilla, non sei di qui, vero?» chiese porgendomi una mano e aiutandomi ad alzarmi. Abbassai lo sguardo.
«Esatto, mi chiamo Alex. Tu?».
Forse sono stata troppo diretta, lo so, ma sentivo di potermi fidare in qualche modo, strano vero?
«Luke. Vieni ti faccio fare il giro della città!» esclamò e io annui, mi tese la mano e la accettai.
In fondo, ricominciare dà i suoi frutti, no?
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