Anche i sassi cambiano idea
Tra i colli boscosi vicino a Pella, mentre il sole calava sull’orizzonte tingendo il cielo e la terra di giallo e di rosso, un grido interruppe la pace del luogo: «Alessandro!» gridò Aristotele, arrabbiato e preoccupato.
Quell’accidenti di ragazzo lo avrebbe rovinato, e avrebbe rovinato anche se stesso, se avesse continuato così, rimuginava il grande filosofo. “Il re mi caccerà appena si accorgerà che non si è presentato a nessuna delle mie lezioni, soprattutto se non vede suo figlio tornare a casa prima di cena. E mi chiederà indietro tutto il mio stipendio”, pensò con un tremito di terrore. «Alessandro!», gridò ancora Aristotele, ma riuscendo soltanto a far scappare un uccello impaurito.
Dopo una mezz’ora buona, quando ormai si era fatto buio e le tenebre rendevano la foresta oscura, ecco tre ragazzi sporchi e sudati, con i vestiti un tempo meravigliosi e ora semidistrutti, uscire dagli alberi con un cervo morto che trasportavano su un travois di legno.
Il contrasto tra i ragazzi felici, sia pur con i vestiti ridotti a brandelli e il fango sulla faccia, e il filosofo ben vestito con la faccia paonazza per il furore, fecero fare una grassa risata a re Filippo.
Aristotele si girò e, sebbene sembrasse impossibile, una volta riconosciuto il re, la sua faccia divenne ancora più rossa.
Ma il filosofo riuscì a rientrare in sé e in pochi secondi articolò un discorso per scusarsi, prese fiato ed esordì: «Vostra Maestà, io…».
«Alt!» lo interruppe il re, «so benissimo che se cominci a parlare mi convinci che hai ragione, ma non te lo permetterò, perché hai torto. Ma non angustiarti, non ti caccio via. Ma prima di tentare a insegnare a mio figlio le arti della retorica eccetera, devi riuscire ad attirarlo verso di essa. Ti suggerirei un poema di guerra».
Detto questo, lo congedò e chiamò dei servi: «Pallante, prendi il cervo e portalo in cucina, dì al cuoco di prepararlo per la cena; Narciso, porta mio figlio e i suoi amici nelle loro stanze e assicurati che si diano una lavata. Poi falli venire subito nella sala dei banchetti, siamo già in ritardo per la cena».
I servi eseguirono gli ordini e, poco più tardi, la famiglia reale e altri personaggi in vista si riunirono nella sala dei banchetti per cenare. La sala era molto sfarzosa e illuminata da decine di torce, poste sia sulle pareti sia sul tavolo. I banchetti nell’antichità erano come delle feste e i tre ragazzi si divertivano ogni sera, come tutti gli altri commensali. Dopo la cena, andarono tutti a dormire. Ma, nell’ora più buia della notte, un’ombra entrò furtivamente nella camera del giovane Alessandro e mise qualcosa sotto il suo cuscino.
La mattina seguente Alessandro si svegliò con la luce che filtrava fievolmente dalle tende, il lieto canto dei passeri… e qualcosa di duro sotto il cuscino. Il ragazzo infastidito ma curioso mise la mano sotto il cuscino ed estrasse un rotolo di papiro. Alessandro irato stava per gettarlo dalla finestra quando scorse, con la coda dell’occhio, una parola tra quelle che riempivano il papiro: “Achille”.
Achille era l’idolo di Alessandro e il giovane principe cambiò immediatamente idea : aprì le tende e le persiane per far entrare più luce e cominciò a leggere quel testo, intitolato Iliade.
Poco dopo giunsero i servi con la colazione e per lavarlo e vestirlo e Alessandro, sia pur riluttante, lasciò il rotolo. Appena fu libero, lo prese con sé e uscì dal palazzo. Prese una boccata d’aria e poi, appoggiatosi al tronco di un albero, riprese a leggere, ma per riuscire a capire il proemio ci mise un’ora e capì che doveva imparare a leggere meglio.
Aristotele, seduto su una panca, sorseggiava un po’ di latte quando vide Alessandro venirgli incontro con un rotolo. Per poco non gli andò di traverso il latte.
Non si aspettava un mutamento così rapido. Ma ne era contentissimo.
Alessandro si avvicinò e chiese al grande filosofo: «Vorrei imparare a leggere per sapere cosa c’è scritto qui».
Ogni giorno gli amici di Alessandro gli proponevano di andare a caccia o a giocare, ma il giovane principe pensava solo all’Iliade e ad Achille.
Cominciava a leggere appena alzato e si fermava solo per mangiare e riprendeva a leggere fino a quando andava a dormire.
Contemporaneamente Aristotele accresceva la curiosità del giovane finché, alla morte del padre, Alessandro smise di pensare alla filosofia per cominciare a pensare a governare. Ma Aristotele rimase con lui e Alessandro era lieto di questo.
Anche se Alessandro aveva la testa più dura di un sasso, Aristotele era riuscito a renderlo un sovrano con la mente imbevuta di filosofia. Alessandro era pur sempre un uomo dalle passioni violente, ma a volte riusciva a moderarsi pensando appunto al suo grande maestro.
E così Aristotele riuscì a portare a casa un bel po’ di soldi e fu anche l’unico che poi non si dovette inchinare ai piedi di Alessandro una volta che questi conquistò il più grande impero sulla faccia della terra.
Se Alessandro non fosse stato istruito da Aristotele, non avrebbe probabilmente cercato di essere un nuovo Achille conquistando l’Asia, perché non avrebbe nemmeno potuto sapere della conquista di Troia da parte del suo idolo senza saperla leggere.
Ma leggere lo aveva poi trasformato, perché aveva aperto la sua mente a tutte le correnti di pensiero che scorrevano nella testa di Aristotele. Ed erano tutte quelle dell’epoca. Per questo Alessandro primo tra i sovrani aveva tentato di fondere i popoli che gli erano sottomessi, perché tutti fossero uguali. E lo aveva imparato leggendo le orazioni degli oratori dell’epoca.
Senza leggere, sarebbe rimasto il piccolo sovrano di una piccola Macedonia.
Ma suo padre voleva di più per suo figlio, che sperava un giorno diventasse grande grazie alle letture con il filosofo più sapiente e più costoso di tutta la Grecia.
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