Riscrittura di un episodio de I Promessi sposi
Capitolo Primo: L'incontro di Don Abbondio con i bravi
Premessa: ho scelto quest'episodio e l'ho adattato ai giorni nostri, perché nonostante siano passati alcuni secoli il tema della minaccia attuata dai prepotenti, con l'aiuto di persone al loro servizio, verso i più deboli è ancora presente. La struttura e lo stile rimangono in parte quelli originali del romanzo di Manzoni.
Era una calda e afosa giornata estiva. Il sole picchiava forte sulle pietre all'ora di mezzogiorno. Sulla stradicciola polverosa, che univa il borgo siciliano di San Gregorio al paese di Castell'Umberto, passando tra la macchia e le immense campagne coltivate ad aranceti e limoneti, compariva Carmelo, contadino di una di quelle terre, tornando a casa dalla visita giornaliera alla sorella zitella Cettina, reduce da una terribile malattia.
Tutt'attorno regnava il silenzio dato l'orario: i contadini avevano abbandonato i campi per tornare per il pranzo a casa, dalla quale non avrebbero tirato fuori piede per almeno cinque ore.
Egli approfittava solitamente di questa quiete per ascoltare i rumori della natura, il vento, il calpestio dei ciottoli della strada; ma quel giorno, il 7 luglio del 2001, particolarmente felice per le migliori condizioni di salute della sorella, passeggiava bel bello fischiettando la canzone Ciuri, ciuri. Se non ricordava la melodia canticchiava le parole per poi riprendere nuovamente a fischiettare, quando a un tratto, appoggiato a un olivo secolare, vide una persona che non avrebbe voluto incontrare né in quel posto né mai e che riconobbe dalla figura e soprattutto dal viso noto, con quei capelli che spuntavano dalla coppola e con un paio di folti baffi neri.
Era don Vito, uno di quelli che non ti faceva mai mancare del denaro: uno strozzino di quella zona. Al seguito di costui c'erano due muscolosi omoni primitivi tutti tatuati, i suoi guardaspalle, di quelli che facevano andare le mani.
Don Vito si spacciava per un gentiluomo, ma in realtà era un uomo senza pietà, apparentemente ti faceva stare bene, ma poi... da una parte ti aiutava… ma dall'altra…
Si deve precisare che gli strozzini (il nome deriva dal verbo strozzare), detti anche cravattari nella capitale, appartengono a una razza speciale diffusa dappertutto: gente che non ha cuore, che succhia sangue e spolpa i clienti, prestando denaro e esigendo interessi esagerati.
Non che la legge non li condannasse, ma don Vito, come molti altri, era incensurato, con la fedina penale immacolata. Questo perché lo strozzinaggio è un misfatto che si compie nel silenzio, nell'ombra. Tutti sanno, ma tutti fanno finta di niente, a cominciare dalle vittime.
Era evidente che i tre aspettassero qualcuno, ma quando Carmelo capì che l'aspettato era lui, si turbò nell'animo. Che fare? In quel momento avrebbe voluto che la strada e i campi fossero popolati dai contadini, si guardò intorno ma non vide nessuno. Pensò anche che, se ci fosse stato qualcuno, questi avrebbe fatto finta di niente.
Poiché procedere era l'unica via possibile, in quanto tornare indietro avrebbe significato, nella migliore delle ipotesi, che i due tirapiedi lo avrebbero agguantato in pochi secondi, si diresse, anche se lentamente, cercando di rimanere calmo, verso il suo creditore.
“Signor Carmelo” disse don Vito piantandogli gli occhi in faccia.
“Cosa desidera?” rispose tremante il povero contadino, l'aria del pericolo in faccia.
“Si ricorda di quei tremila euro che gentilmente le ho prestato per l'operazione di donna Cettina?” riprese arrogante l'usuraio.
Carmelo non rispose un po' per la paura, ma anche perché cercava di far intendere che non si ricordava.
“Allora Carmelo… i tremila euro li tenete sì o no?” ringhiò con tono minaccioso lo strozzino.
“Ancora no” rispose Carmelo tutto d'un fiato.
“Orsù” interruppe don Vito “Ho aspettato fin troppo perché voglio bene a voi e vostra sorella Cettina mi sta particolarmente a cuore, ma non voglio aspettare ancora… lei m'intende?”
“Sì, sì” replicò balbettando Carmelo.
“Le potrò concedere altre ventiquattr' ore… dopo di che…” e qui una buona bestemmia “…la salute sua e di sua sorella peggiorerà” disse, indicando quei due bruti che lo accompagnavano “e soprattutto non si lasci sfuggire parola… altrimenti… sarebbe lo stesso che non pagare…”poi continuò: “Ma lei è un gentiluomo, uno che sa bene come vanno queste faccende e non ci sarà bisogno di ciò”.
Detto questo don Vito e il suo seguito si mossero, mentre Carmelo rimase immobile sul ciglio della strada come paralizzato, con la mente offuscata, senza che gli venisse in mente come cavarsi da quell'impiccio.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni