La bruttezza immaginaria
Ha gli occhi color nocciola, le labbra rosse e sottili e i capelli corti, fini, lucenti.
Un profilo particolare, non da tutti i giorni, insomma.
La vedo sbucare dall’uscita della metropolitana. Vedo le sue piccole mani affrettarsi a cambiare canzone dall’ipod e altrettanto velocemente rinfilarsi nelle tasche del cappotto.
Fa qualche passo finché non vede una giovane donna: è in una posizione provocante ed è vestita solo di biancheria intima. Posa per una pubblicità.
La ragazza si ferma a guardare la gigantografia di fronte a lei e le leggo subito negli occhi espressivi come le piacerebbe avere il suo fisico. Ovviamente questo piccolo particolare la farà pensare tutto il giorno. Pensa al perché non ha ancora il primo ragazzo. Perché la sua bruttezza immaginaria si lega inevitabilmente agli affetti. Le piacerebbe dare il primo bacio, si dice. Pensa che sia colpa del fatto che nessuno l’avesse mai avvicinata. Pensa al suo corpo, in continua evoluzione, un giorno si piace e un giorno no. Maledice l’adolescenza nella sua mente e cerca di pensare ad altro.
Lei è semplice, ma pensa che forse dovrebbe cambiare qualcosa perché cosi è solo infelice. Ma nessuno sembra accorgersene, anche di questo soffre.
Torna a casa, ne parla con la sua migliore amica che la rassicura come solo lei sa fare, ma un secondo dopo aver messo giù il telefono ricomincia a pensare.
Pensare la uccide dentro.
Questo non lo sa nessuno però. Si ritrova una seconda volta a maledire l’adolescenza.
Si infila le cuffiette nelle orecchie per far sì che la voce del suo cantante preferito copra i suoi pensieri.
Ma il giorno dopo la ragazza è un’altra. Come se avesse due facce: un giorno triste e uno felice. È così l’adolescenza. Come essere sulle montagne russe.
Ma ogni giorno, si paragona ai canoni di bellezza degli adolescenti: non coincide in nessun punto.
Ha la schiena dorata dall’abbronzatura, lasciata nuda da una maglietta scollata, si notano gli impercettibili movimenti delle sue piccole scapole e il morbido accenno di qualche vertebra.
Passeggia distrattamente per la mostra. Si ferma ogni tanto a pensare.
Esce, un sole tiepido la abbraccia. Pensa a come non sia sola ma a come si senta sola. Circondata da amici, amici falsi che le dicono che è bella. Ma le non si fida. È triste perché non si sente accettata. Eppure era lei quella che quando le dicevano che l’adolescenza sarebbe stata un periodo difficile non ci credeva.
I suoi genitori cercano di aiutarla, ma non fanno che peggiorare la situazione e non lo capiscono.
Si chiude in bagno e non ne esce fino a che il sangue dai suoi polsi non smette di gocciolare.
Le sue mani sono protese in aria. Sembrano forti. Le unghie rosicchiate dal nervosismo o dall’ansia, chi sa. Portano tre anelli, due nella sinistra e uno nella destra. Quelle mani sono magre ma non esageratamente. Giocano con un fascio di luce che si proietta sulla parete.
Lei è sdraiata sul letto e si chiede: “Perché? Perché devo vivere in questo incubo? Perché la bellezza di una ragazza si basa sulla lunghezza della sua gonna o sulla pesantezza del suo trucco?”. Questo si chiede, sdraiata con le mani verso il soffitto.
“Oggi l’unica cosa che conta è la bellezza esteriore. La bellezza dovrebbe essere qualcosa di relativo e invece è il primo criterio di paragone”.
Lei non riesce ad accettarlo, ma vuole adattarsi, sennò quel ragazzo non la prenderà mai in considerazione. Con lui aveva riso e scherzato, si era sentita quasi desiderata.
“Forse sono io che mi sono immaginata tutto” si dice.
Il suo pensiero cade sul proprio aspetto.
“Forse non gli piacevo fisicamente, ma, come dargli torto, nemmeno io mi piaccio.”
Altra tristezza invade il suo cuore come una staffilata. Oramai è troppa, il suo cuore è sul punto di cedere.
Va a letto, e, inutile dirlo, passa il tempo a fissare il soffitto dove danza la luce filtrata dalle persiane.
E il suo cuore sta per scoppiare.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni