Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Rabbia

Rabbia. Urla. Oggetti che si frantumano contro le pareti, troppo strette. Ogni lite, straziante. Tutti i limiti, sorpassati. Gelosie portate all’esasperazione. Lacrime.
E di nuovo. Ogni volta. Sempre.
Questo gioco che era troppo difficile da gestire ci stava trascinando rovinosamente verso il basso. Ci eravamo lasciati travolgere dalla nostra stessa forza, come se un’onda ci lanciasse contro gli scogli.
Era un ciclo infinito.
Innamorati, straziati fin dentro l’anima.

Uno schiaffo, minacce.
Tutti e due con la paura convulsa di perdere questo gioco che ci era scivolato di mano.
Troppo impegnati a soffrire, non capivamo che il nostro non era amore.
«Ti amo. Ti amo. Ti amo…» ripetuto fino alla follia.
Bugie, qualche lacrima.
La forza dell’universo intero che minacciava di esplodere tra i nostri corpi tesi allo spasmo. Cuori affannati, impazienti, un pavimento freddo, immagini sfocate dietro le lacrime, baci roventi. Disposti a imparare a trattenere il respiro prima dell’impatto.
Amore e odio. Una linea di confine così sottile che ormai era confusa, una traccia di sabbia.

Ci lanciavamo l’uno contro l’altra, carichi di tutto l’odio del mondo, pronti a lottare e perdere. Pronti a perderci a vicenda.
Due bestie dilaniate dagli stessi dolori, troppo orgogliose per lasciarsi il loro passato alle spalle. Insaziabili.
Ma eravamo così, ci cercavamo, morivamo ogni qual volta minacciava tempesta. E ancora, ancora.
Mai stanchi della nostra febbrile follia.
Dolore che ci offuscava i sensi,
dolore che circolava come sangue,
dolore sotto la pelle.
I nostri baci erano una lotta senza vinti o vincitori, i sussurri una pugnalata al petto, come se la morte entrasse dentro fino a scavarci l’anima. Morsi velenosi, intrisi di promesse mai mantenute.

Aspettavamo in silenzio, a gambe incrociate, che finisse la guerra.

Ma la guerra non finiva e sapevamo perfettamente che il nostro precario equilibrio dipendeva unicamente da questo.
La logica, i ragionamenti, la razionalità, con te sembravano castelli di carte le mie inespugnabili tesi. Se all’inizio era stato un gioco distruggerci a vicenda, adesso era un bisogno.

Volevo solo abbracciarti, tenerti stretta, farti capire che andava tutto bene, che eravamo ancora insieme.
Sentivo cosa ti passava per la testa, come se i tuoi pensieri facessero rumore.
E ricordo troppo bene gli incubi che ti velavano gli occhi quando sentivo quel suono, come lo scricchiolio di un’anima che sta per spezzarsi.
Era un suono orribile, crudele.
Allora mi fermavo, non infierivo. Tornavo in un angolo a leccarmi le ferite ancora più innamorato di prima, ancora più sicuro che sarei potuto morire senza di te.

Perché siamo stati così meschini, amore mio?

Abbiamo cercato la verità negli occhi dell’altro. E tutto quello che abbiamo trovato era rabbia, dolore, sentimenti troppo forti per essere affrontati da soli, sentimenti che stavano per esploderci dentro la testa.

Troppo amore, nascosto come un male, da troppo tempo.

Ero solo uno dei tanti con i demoni nel cervello e il cuore andato a male, mentre tu, tu eri diversa e distante, di una bellezza triste che mi avrebbe fatto morire… eri il caos, indomabile, selvaggia, prendevi tutte le mie certezze stracciandole come se non fossero mai esistite, sconvolgevi tutto. Rimanendo l’unico punto fisso.
L’unica àncora,
e se l’orgoglio non me l’avesse impedito te lo avrei sussurrato prima di pugnalarti mortalmente.
Rimanevi, come una fitta dolorosa fatta di rimpianti.
Eri il mio veleno e lo sapevi. Sapevi tutto.
Se tu fossi stata capace di guardare oltre l’orgoglio, forse avresti capito che non dovevi tremare quando sbattevo la porta urlando al mondo che ne avevo abbastanza di te.
Perché non era vero, come avrei potuto? Avevi sconvolto il mondo con un sorriso e da quel momento avrei potuto fare due cose soltanto: amarti o odiarti, e le avevo fatte tutte e due, con una forza che non avevo mai avuto.

Avevi rovesciato con violenza i confini di tutto.
Questo nostro amore era solo bisogno. Un bisogno dettato dalla solitudine di due anime troppo distanti.
Non ci saremmo mai giurati fedeltà eterna. non ne avevamo bisogno. Come due cani randagi invece, ci saremmo presi cura l’uno dell’altra leccandoci le ferite.
Questo bastava.

Ma adesso, amore mio… adesso che te ne sei andata silenziosamente, stanca di questo amore che aveva chiesto troppo a due cuori sanguinanti, adesso non vivo più.
Adesso che la guerra è finita posso dirti che avrei voluto con tutto il cuore che fossi stata tu a vincere.
Adesso che i miei pensieri volano un’ultima volta a te posso mettere finalmente a tacere quel rumore sordo che non ha mai cessato di battere, aritmicamente, instancabile nella mia testa.
E con mio grande rammarico capisco solo ora quanto ho perso.
Avrei potuto abbracciarti quella volta in stazione, avrei dovuto baciarti quando con le labbra mute e spezzate mi chiedevi scusa, avrei desiderato tanto dirti che non c’era niente che avrei voluto più di te, perché era vero… e anche adesso ti desidero come l’aria.

E qui, adesso, nel momento stesso nel quale sento il rumore impazzito delle macchine che mi tengono attaccato alla realtà con un freddo tubicino che prepotentemente si insinua nella mia carcassa di innamorato, so di essere già morto.
Adesso le mie linee di sabbia sono sparse nel mio cervello, come dopo una tempesta.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010