Commento e riflessioni su un’opera: Il viandante sul mare di nebbia
Sfogliando le pagine di un libro, un meraviglioso quadro ha catturato la mia attenzione e da subito ha suscitato in me sentimenti tali da sentirmi parte integrante dell’opera, quasi la protagonista, come se fosse stato dipinto per me.
L’opera che mi ha affascinato è Il viandante sul mare di nebbia, rappresentazione nel quale il pittore Caspar David Friedrich ritrae un uomo solitario, di spalle, che su una vetta di un monte osserva il paesaggio, caratterizzato da una nebbia fitta e coprente.
L’ambiente è scuro e roccioso e la vegetazione è quasi assente. Ogni elemento mi sembra semplice e allo stesso tempo suggestivo: la sagoma scura in contrasto con il biancore della nebbia, la vastità del cielo, l’indefinita nebbia. Se lo si osserva con attenzione, si scorge una vetta di un monte che pare esser la più alta, messa in risalto dal contrasto con il cielo dai colori chiari e sereni; deduco, nonostante l’uomo sia ritratto di spalle, che il suo sguardo sia rivolto verso quella cima.
Quest’opera dal così forte valore emotivo mi è come sembrata il riflesso della vita, o meglio, della mia vita. Quel viandante solitario su un monte roccioso, sul quale probabilmente è salito con fatica, ma che non mostra in quanto vestito in modo elegante e privo di segni di stanchezza, osserva una vetta che ancora è lontana e che probabilmente vorrebbe raggiungere per poter avere un panorama migliore, nonostante abbia ugualmente un meraviglioso paesaggio sotto i suoi occhi, rispecchia il mio essere: molto forte esteriormente, circondata da persone che dicono di volermi bene, ma interiormente come se fossi sola lungo il mio percorso, superandone gli ostacoli e non sentendomi ugualmente nel posto in cui vorrei stare, pur essendo circondata da tante realtà che mi rendono felice.
Lui se ne sta lì, su una roccia, apparentemente sospeso nel vuoto e, sebbene rifletta sul come arrivarci, non può andare oltre col suo cammino. Si limita a osservare e tanto gli basta per farlo andare oltre. Mi immedesimo in quest’uomo e credo che il suo sguardo sia rivolto verso la vetta in lontananza, immersa in un cielo dai colori lievi, chiari e indefiniti che risaltano la punta del monte, differente dall’ambiente in cui lui osserva, quasi si trovasse in un’altra realtà e il monte rappresentasse il raggiungimento della sua felicità.
Quello che prova l’uomo è proiettato in ciò che lo circonda: natura e paesaggio rispecchiano il suo animo e, questi, a loro volta si riflettono in me. Egli trionfa sulla vetta conquistata, ma allo stesso tempo è disperso nell’immensità che gli si prospetta davanti, nella quale si scorgono dubbi, paure e insicurezze immersi in una fitta nebbia che lo avvolge e nasconde tutto, creando così confusione e titubanza, facendo di quella vetta un obbiettivo irraggiungibile.
Le mie paure, ansie, incertezze sono racchiuse nel soggetto di questo quadro, che risalta la piccolezza dell’uomo in confronto alla stessa difficile vita. Più osservo e più mi sento incredibilmente partecipe: mi sento assorta e riflessiva tanto quanto l’uomo di spalle, come se potessi osservare quell’immensità al suo posto o accavallare i miei ai suoi pensieri.
Credo che di fronte a un paesaggio suggestivo come quello raffigurato tutti avremmo gli stessi pensieri.
Per questo non lo trovo solo un quadro, ma un’espressione di emozioni forti, realistiche e condivisibili: l’inquietudine dell’animo che si rispecchia in quel paesaggio offuscato e monocromatico, in cui esistono solo picchi di rocce e nebbia; il voler raggiungere così tanto qualcosa, quella vetta altissima che sembra così lontana nonostante si abbia combattuto così tanto per avvicinarci a essa, ma non riuscirci a causa della traversata ancora piena di difficoltà da superare.
Anche se il sentimento malinconico trasmesso dal paesaggio sottostante sembra prendere il sopravvento, i capelli del viandante mossi dal vento, piccolo dettaglio ma significativo, mi ispirano un senso di speranza, in quanto sento soffiare sul mio viso quel vento. Immagino, allora, di trovarmi su quella roccia, chiudere gli occhi e per un attimo credere di essere arrivata in cima al mondo. Mi sento improvvisamente forte.
Dalla sagoma di quell’uomo, a questo punto, mi arriva la sua energia, attraverso la quale ha superato sicuramente tanti ostacoli per arrivare su quel monte roccioso da cui osserva, la medesima che ho in me nel momento in cui mi accorgo di star lottando, la stessa che chiunque mette in gioco contro le intemperie della vita.
Quell’uomo, che al momento non si muove e che sembra quasi di voler mollare davanti a quel paesaggio nebbioso e roccioso che lo dividono nettamente da quel mondo paradisiaco che racchiude la vetta, sta riflettendo su come non arrendersi e sa di poter trovare una strada, ma ha forse bisogno di vederla chiara prima di ripartire e avere altre sconfitte e delusioni.
C’è un mondo aperto davanti a lui e sa che sarà felice se potrà coglierlo in ogni sua sfumatura.
Quel Viandante è incertezza, paura, dolore.
È anche gioia, desiderio, speranza, coraggio.
È il senso di paura mista a determinazione, le difficoltà e il loro superamento. Quel viandante rappresenta un vastità di emozioni, il senso della vita, il tutto.
In quel Viandante, rivedo me stessa.
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