Guardarmi e comprendermi
La luce del sole le colpiva il viso, rendendo i suoi occhi scuri quasi color nocciola.
Il vento le spostava leggermente i capelli e lei era in pace, nulla poteva rovinare quel momento.
Era sola, non aveva bisogno di parlare con nessuno, voleva rimanere ad assaporare il silenzio, che per una mezz’ora si faceva suo fedele compagno, promettendole di proteggerla e di far sì che la sua serenità non venisse violata.
E dire che era uscita di casa con la voglia di fumare una sigaretta… per fortuna non l’aveva fatto. Fumare la rendeva triste, tirava fuori il peggio di lei, perché nel fumare ella trovava piacere ma veniva invasa da un grande senso di colpa, poiché sapeva che si stava facendo del male.
Per lo meno quella giornata non se l’era rovinata, anzi la stava assaporando e le dava di gran lunga più soddisfazione della nicotina.
Il suo corpo era il riflesso della sua anima, bastava osservare come si muovesse senza fretta, rilassato… bastava guardare come i suoi occhi si rivolgessero al cielo, per osservarne le sfumature di colori che si presentano al tramonto.
Stavano comparendo le prime stelle, a cui la ragazza si rivolgeva con speranza, perché le stelle sono sempre lì, a ricordare agli uomini che non tutto è perduto, che per quanto l’universo possa essere oscuro e misterioso, ci sarà sempre posto per la luce… e questa stessa luce ora la riempiva, splendeva in lei.
Dal modo in cui abbozzava un sorriso poi, si poteva capire come fosse una ragazza indipendente, che gioiva della compagnia di tutti ma che non necessitava di nessun eroe che venisse a salvarla… più che un eroe, aveva bisogno di un cattivo. Infatti si trovava spesso a dover fare i conti con sé stessa, e le faceva paura. Avendo un nemico acquistava invece la possibilità di gettare su di esso la colpa delle proprie disgrazie, riuscendo per un po’ a sfuggire al bisogno che la portava a guardarsi dentro.
Lei viveva di contrapposizioni: osservandola anche solo camminare per la strada si notava come le sue gambe andassero tranquillamente e con serenità, ma al contrario i piedi si piantavano ben saldi sul terreno, troppa paura di perdere il contatto con la realtà; le braccia poi tracciavano grandi archi, dondolavano avanti e indietro spensierate ma alla fine di esse si notavano sempre i pugni chiusi, con i quali cercava di farsi coraggio… le prime la aiutavano a protendersi in avanti, e le mani serrate cercavano di trattenerla, perché ancora si ripresentava la paura, paura di fallire, cadere e non essere più in grado di rialzarsi.
La cosa bella di lei era che per quanto tutto il suo corpo tentasse di confonderle la mente, i suoi occhi rimanevano sempre fissi sul cielo, che con la sua maestosità, i suoi colori e le sue luci la faceva sentire piccola e indifesa ma allo stesso tempo parte di qualcosa di grande, e di semplicemente spettacolare.
Poteva anche avere paura, ma ogni volta che guardava verso l’alto, il terrore che la tormentava andava a rintanarsi sotto il letto, impaurito a sua volta dall’ottimismo e dalla speranza.
Le capitava spesso di sentirsi una persona distruttiva, pronta a far saltare tutto in aria, e quella parte di lei la spaventava, temeva potesse prendere il sopravvento… ma prima o poi la tempesta finisce, il mare si calma e il sole sorge a cancellare le tracce della notte passata. Quindi sapeva che questa parte di lei, portatrice di sventure, non avrebbe mai potuto vincere, perché tra luce e ombra vincerà sempre la luce, perché l’ombra non esiste, è solo una mancanza di questa e la luce illumina ogni cosa.
E ora eccomi qui, tornata a casa, il buio fuori, davanti a uno specchio a studiarmi, a cercare di capirmi, a conoscermi.
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