Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Un’esperienza di lettura

Un coltello per un po’ di zuppa: baratto clandestino.
Sotto gli occhi della Luna più triste di queste vite rassegnate ci sentiamo come criminali per delitti mai commessi. Ci muoviamo guardinghi nel silenzio dell’oscurità vegliata dai folli. Ogni singolo movimento ci costa fatica, ogni minimo respiro è una pugnalata qui, tra le costole, dove l’atrocità del dolore ci farebbe urlare con una voce fuggita via dalle nostre gole.
Veloci, il più rapidi possibile. Uno, due cucchiai, e la “cena”, per cui decidiamo di rischiare la vita ogni giorno, termina lasciando spazio al senso di fame, ai rantoli, ai lamenti dello stomaco. Raccolto ciò che rimane dei nostri corpi deperiti fino all’estremo, ci sediamo a guardare quei muri di cinta oscurati dalle tenebre, ripensando alla nostra svanita esistenza. Vita, termine indegno per scheletri sfruttati: forse per ridurre la nostra pena, forse diventiamo clandestini nella speranza che ci scoprano. Perché continuare a faticare, a soffrire, a sputare sangue? Perché non lasciarci andare nelle mani di un destino già scritto, volando nell’aria come polvere? Come cenere. Quale primordiale istinto ci porta a lottare, a combattere l’evidenza di una fine decisa da altri, da altri “esseri perfetti” divertiti mentre giocano a fare Dio? Per quale assurdo motivo ci ritroviamo a lottare per sopravvivere pur sapendo di non avere alcuna possibilità di salvarci? Ormai non siamo più in grado neanche di sperare. Siamo anime ingabbiate tra ossa destinate alla rassegnazione. Quelle mura sono cinghie intorno al cuore e quando la Luna decide di spegnersi anche ai nostri occhi è già l’ora del triste Sole. Urla e spari, terrore e sangue. Ci voltiamo supplicanti nella speranza di incrociare sguardi conosciuti, di leggere numeri scolpiti nelle nostre menti e incisi sui nostri corpi. Raccolti come buoi attendiamo l’ordine per poi strisciare ai nostri doveri, impotenti e arresi. Privati anche della più insignificante dignità umana, sembriamo ai nostri stessi occhi dei poveri insetti schiacciati dall’immensa malvagità del mondo che ci circonda. Cieli consumati dall’odio avvolgono i nostri volti lividi resi aridi dal dolore.

Ancora una e altre mille giornate passate a straziarci per la sofferenza, sottoposti ogni secondo al giudizio di animali che ci reputano immondizia meritevole di disprezzo. Non viviamo più. Ci lasciamo vivere. Ci facciamo trascinare dai nostri stessi corpi come foglie portate lontano dal vento gelido. Ridotti a spettatori senza più nulla da vedere, possessori soltanto di una debole capacità di immaginare la vita altrui, laggiù, al di fuori dei confini del male.
Giorni. Mesi. Anni. La malasorte di molti può trasformarsi in un accenno di fortuna per pochissimi. Dalle finestre del fatiscente laboratorio chimico rimaniamo incantati a osservare malinconici il terribile fumo nero assumere la forma di quei numeri che graffiavano le braccia di troppi volti conosciuti, di troppi fantasmi vittime di fanatici carnefici. Pianti di bambini, urla di donne straziate. Poi spari, altre urla, altri pianti e ancora spari, e infine un assordante silenzio. Soldati biondi con fucili caldi che ridono guardando i fiumi di sangue che affluiscono sulle terre secche. Nelle infermerie si assiste allo spettacolo più raccapricciante: donne e bambini trattati come carne da macello, uomini malati insultati e derisi come vermi. Ridotti a mucchi d’ossa dall’anima dannata tentiamo di osservare le stelle opache coperte da uno spesso velo di polvere e detriti, mentre uno spiccato odore di pelle e visceri bruciati tortura i nostri sensi. I giorni ci appaiono sempre più lunghi, i mesi interminabili, gli anni torture senza fine.

Notizie strappate dalle bocche di chi sa, idee che si ammucchiano e speranze che riaffiorano dal profondo di cuori senza battiti. I pazzi si presentano sempre più crudi e crudeli, ogni giorno disposti a fare più male, a lacerare più nel profondo. Agitati. Nervosi. Spaventati dal fatto che tutto ciò a cui fino a ora hanno donato la propria vita sia soltanto l’opera di una mente senza ragione, di un cuore privo di bontà. E più il dubbio si palesa, più capiscono di essere vittime della loro stessa pazzia. Per non cedere a questo tormento, per convincersi di non aver sbagliato, ci umiliano ancora, ci sfruttano ancora. Ci uccidono, come sempre.

Ma ormai si intravede un flebile lume in lontananza. Per noi ancora irraggiungibile, per loro tremendamente vicino. Inaspettati eventi e furibonde bombe di alleati incendiano i paesaggi e divorano le speranze di folli armati in giro per l’Europa. Piangono. Si disperano come bimbi senza il proprio giocattolo. Si arrendono alla realtà.
Finalmente aiuti, finalmente spicchi di sorrisi. All’arrivo dei carri della libertà ci abbandoniamo al pari di cadaveri nelle mani di paladini della salvezza. Il fumo continua imperterrito a salire verso il cielo grigio. Le nuvole disegnano le ultime cifre. Numeri come nomi, nomi a cui rispondevano protagonisti, uomini che con le loro sofferenze hanno scritto, loro malgrado, la pagina più buia e tormentata della storia. Eroi eterni dai nomi incisi a caratteri maiuscoli sulle pagine del grande libro del Mondo.

E infine, lasciandoci alle spalle quei terribili cancelli, consapevoli di aver già conosciuto l’Inferno, osserviamo per l’ultima volta quello strano uomo coi baffetti e una svastica sul braccio, domandandoci sinceri se questo è un uomo.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010