Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Il lamento di Paride

Chiara luna illuminava
Ilion dalla fertile terra
e Morfeo, figlio di Ipno e Notte,
dei Teucri gli occhi carezzava
con vellutati petali
e lor menti cullava
soavemente. Dormiva
il Pelide, gli Atridi e il Laerziade
nel campo degli Achei chiomati
e quasi un dì mancava ancora
perché rancissero le guance
della bella dea Aurora.
Sol uno tra i Troiani
dai lunghi pepli vegliava
e il caro letto coniugale
lasciato, il ciel mirava:
era il profumato seduttore,
bello quanto è bello un dio,
ma di natura e sentimenti
mortali, Paride.
Presa l’ apollinea cetra
di lagrime avea ambo le guance fitte
e carezzandola con le femminee
mani, pizzicando le ritte
corde alzava un canto al cielo
dopo con orecchi attenti
il silenzio aver udito
e i latrati dei cani
e il gracidar dei corvi
e aver mirato l’ infinito:
“O astri, o cielo, o dei,
chiara vedo la gloria
e la bellezza umana
ma la gioia non vedo,
non vedo il gaudio e il riso
fare splender gli occhi miei!
O natura, o natura,
perché questo mi fai?
Amore strinsemi d’Elena la bella
ma, semplice pastore, m’ingannai.
Lieto pascolando le mie mandrie
sul Gargano fui chiamato,
misero al cospetto di tre dee
e puosemi Apollo
dall’arco argentato in mano
il fatale pomo. Qual errore!
O me sventurato!
Pastore fui, or sono principe
Felice fui, or son sciagurato.
Gloria ho e ancor ne avrò in etterno
pur fuggendo, codardo,
bassa la coda come il cane
avanti al lupo, epiche pugne
e sangue; cara luna, ahimè!
Perché comandi bene le mie frecce
ma così male il cuore?
Nudo ebbi il capo
e di lana il grembo scarno
cinto ed umili calzari
compagnavano il cammino;
or la testa è adorna
e d’oro e d’argento
e rossi pepli mi cingon
le regie spalle, spento
però è il riso e l’allegria,
morta la speme e la letizia
e tristo il cor e l’animo
innanzi l’infinito si spaura.
Viltà mai ebbi, or ho
e mai vista in volto la paura
fuggivo il funesto presagio,
tristo or fuggo la scure
di Menelao forte guerriero
e assieme a lei il destino.
Fratello mio, ritorna
dal tenebroso Tartaro
o uccidami il rancore,
l’amarezza e il pianto tuo.
Padre mio, perdona
il figlio tuo tradito,
piangi meco la progenie uccisa
e mira il presto avvenir nero.
Strazianti grida, alti guai,
voci alte e fioche e suon di man con elle
e carchi i fiumi e umido il suolo
del sangue dei miei cari:
son dunque questi i dazi per amare?”


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010