Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

Il Capodanno del nuovo secolo

 

Quella era la fine.
La porta era davanti a lui.
Il mitra in mano, appena caricato.
Salvo fremette.
Quello era il momento.
Nonostante il suo tempo stesse scadendo, aveva bisogno di fermarsi un momento, calmarsi e pensare, o l’adrenalina avrebbe compromesso tutto.
Così, senza che se ne accorgesse, la mente volò a ritroso a quando tutto era cominciato: dieci anni prima.

Il minaccioso cielo plumbeo sovrastante, gli opprimenti grattaceli d’acciaio e vetro risplendenti di luce, le cineree vie tortuose che si snodavano in maniera inquietante, i marciapiedi ovviamente sgombri, le strade eccessivamente piene di veloci macchine assordanti, gli osceni manifesti di linee d’abbigliamento, nuovi prodotti tecnologici o di nuove discoteche, inguardabili sia per immagini che per messaggi.
Tutto gli parlava di una realtà oppressiva, intollerante, soffocante, angosciante. O meglio gliela ricordava. Era la sua realtà in fondo.
Salvo inspirò profondamente, cercando di infondersi forza e coraggio mentre camminava per Milano.
Avveniva ogni mattina: sua madre gli offriva un passaggio in auto ma lui rifiutava dicendo che era già d’accordo con amici. Una balla colossale. Si svegliava prima per poter camminare, semplicemente andare a piedi in un maledetto posto invece che usare le veloci e moderne auto di cui blaterava ogni adulto. E lui poi, di amici, non ne aveva. E ne era perfettamente consapevole.
Certo, interagiva e scherzava con i suoi compagni di scuola e cercava di essere minimamente alla moda, senza esagerare o sarebbe diventato uguale a loro, ma era solo per passare inosservato, altrimenti avrebbe attirato dei sospetti e qualcuno avrebbe potuto scoprire il suo segreto.
Era per quel segreto che il suo cuore batteva, che i suo polmoni respiravano, che non era diventato pazzo o, peggio, come la società imponeva di essere.
Era per quel segreto che lui resisteva in quel posto che sapeva essere infernale.
Una stretta gabbia dorata nella quale il progresso scientifico, tecnologico e culturale creava persone colme di falsità, ipocrisia odiosa, ignoranza sfacciata, noncuranza, indifferenza, egoismo ed egocentrismo, freddezza emotiva, materialismo sfrontato e soprattutto un culto dell’apparenza assolutamente esasperante.
Spesso si chiedeva come tutti facessero a vivere così, si rispondeva che non si rendevano conto e subito constatava l’immensa fortuna di essere diverso da tutti. Una fortuna amara.
Sentiva la sua sconfinata solitudine, anche i suoi genitori erano macchine incapaci di vero affetto, e la mancanza di amici veri o di una storia d’amore, entrambe cose ormai dissacrate dalla realtà.
Lui poteva capirlo, grazie al suo segreto.
Gemette dentro di sé, quando i cancelli del liceo si fecero visibili.
Ogni volta che li oltrepassava non era certo di poter resistere per le ore successive.
Arrivò al cortile, subito gli venne incontro Mirco, un idiota come tanti che non sapeva articolare un pensiero e che pendeva dalle labbra di Lollo.
Salvo lo odiava. Era il capobranco della classe, un bullo con lo spinello sempre in bocca, che si vestiva abbastanza tamarro e con i jeans sempre bassi, come la moda imponeva.
Spesso lo scherniva davanti a tutti per il suo modo di fare non molto consueto, adorava fare le cose plateali per attirare l’attenzione di tutti, per far capire chi comanda. Poi lo minacciava.
Uno volta lo aveva pestato pesantemente, nel cortile gremito di ragazzi, dopo che aveva scoperto che non conosceva il suo cantante rap preferito, Bay Ax, e che non aveva comprato il nuovo tablet, lo youPad 9. Ricordava ancora il sapore amaro del sangue in bocca e i dolori lancinanti all’inguine e allo stomaco.
Ovviamente non ne aveva parlato con nessuno, con i professori e coi suoi genitori men che meno.
Avrebbero dato ragione a Lollo, perché doveva conoscere il cantante che andava di moda, doveva comprare il nuovo tablet che spopolava.
I suoi, fra l’altro, gli avrebbero chiesto perché non lo hai comprato? Come li spendi i soldi che ti diamo?
Già come gli spendeva? Era più forte di lui, finiva sempre per dar tutto ai senzatetto. Loro ne avevano più bisogno.
«Sveglia Salvo! A che pensi?»: gli urlò in faccia Mirco con l’alito puzzolente di caffè e sigarette.
«No, niente Mirco. Ho solo un po’ di sonno».
«Anch’io! Ieri ho fatto le due al nuovo locale che hanno aperto in via Alcuino. Che botta! Sono tornato a casa fatto come un turco. Meno male che mia madre si era riempita di sonniferi». E detto ciò scoppiò a ridere, in maniera alquanto sguaiata.
Ma Salvo non lasciò trasparire nulla, né del disgusto che provava per lui né della pietà verso persone come la madre: esasperate dalla realtà che si ammazzavano di farmaci, ce n’erano parecchie così. Emulò un’espressione divertita che usava fino alla nausea. Davvero.
Poi Mirco smise di ridere e lo guardò con fare sospettoso. Salvo conosceva bene quello sguardo: «Perché non c’eri, Salvo? Avevamo appuntamento con i ragazzi di vederci».
«Accidenti me ne sono dimenticato! Mi spiace Mirco».
«Dove cazzo eri di domenica sera? Sempre con quel tuo solito gruppo di amici delle medie che nessuno li conosce?».
C’era troppa diffidenza nello sguardo di Mirco. La fermezza di Salvo vacillò: non avrebbe creduto alla solita balla. Doveva escogitare qualcosa, o avrebbe potuto anche denunciarlo all’Inquisizione, il corpo militare che si occupava dell’ordine e di tutti i soggetti, per qualche strano motivo, affetti da individualismo.
«No, stavolta ero con una…».
Mirco scoppiò a ridere: «Ahahah! Era ora che ti dessi una svegliata! La prossima volta che la vedi chiedile se le va una cosa a tre. Ahahah, scherzo!».
Stava perdendo la pazienza: «Entriamo che facciamo tardi».
«Mmh che palle. Va bene, andiamo».
Salvo in classe fantasticava continuamente, tanto i professori non se ne accorgevano mai. Ogni tanto guardava l’orologio, contando il tempo mancante alla fine della giornata, e il calendario, con l’immagine di una donna nuda, contando il tempo mancante alla fine della scuola. Mancava poco, ma quell’aprile 2089 sembrava non finire più.
Odiava quelle fottute inutili lezioni su uso di tablet, del proprio tempo libero e norme di buon comportamento. Ti mettevano sulla strada ben organizzata che trasformava in marionette incapaci di pensare o provare sentimenti. Ma le peggiori erano quelle di storia contemporanea, frottole gratuite che dissacravano la conoscenza del passato.
Chi controlla il passato, controlla il futuro e chi controlla il presente controlla il passato.
Salvo sapeva che erano falsità quelle che dicevano gli insegnanti, cose utili alla propaganda del Governo.
«Più di quarant’anni fa scoppiò una guerra nucleare, il mondo era allo sbando e gran parte venne distrutto, a quei tempi la nostra Milano non era bella e moderna come adesso. Allora venne colpita quella che era la capitale del Paese di cui facevamo parte, l’Italia. Durante la guerra emerse un gruppo di persone buonissime, giustissime, intelligentissime e capacissime che volevano la fine della guerra. Vennero eletti da tutti, ma proprio tutti tutti, alle elezioni e grazie a loro la guerra finì. Crearono il meraviglioso mondo che conosciamo e formarono la Drangheta, che come tutti sapete, è l’infallibile assemblea istituzionale che ci governa. Grazie a loro abbiamo tutto. Cazzo, pensateci: il lavoro, le droghe, le auto, i cellulari, i tablet, la televisione…».
Salvo non la sopportava la televisione: solo programmi di gossip, musica-spazzatura, notizie censurate, show e film idioti.
«…Hanno costruito tutti i bellissimi locali e discoteche di cui la nostra Milano è piena! Tutto grazie a loro! Alla Drangheta!».
Da ogni singolo studente partì un boato di applausi, fischi ed esultazioni. Salvo, suo malgrado, dovette fare altrettanto. Era sempre incredibile vedere la venerazione che tutti provavano verso la Drangheta.
All’uscita i suoi compagni gli chiesero se gli andava di andare con loro a farsi un grappino in un locale di grande successo. Salvo declinò, come sempre, l’offerta e, curando di non farsi vedere, si incamminò.
Il suo cuore cominciò a battere forte. Il suo segreto.
Dopo aver camminato parecchio, arrivò quasi al confine di Milano, dove zone di blocco con filo spinato, controllavano entrate e uscite. Entrò all’interno di una casa dall’aspetto cadente. Lì il suo segreto.
A dir la verità non era suo, ma Massimo lo condivideva con lui. Quella era casa sua e andava sempre lì quando poteva.
Massimo era il suo amatissimo mentore, lo aveva conosciuto da bambino grazie a un caso fortunato, ed era grazie a lui che poteva definirsi una persona: lui gli aveva fatto leggere dalla sua biblioteca i suoi libri. I libri. I libri!
I libri non esistevano più, erano illegali e chi li possedeva veniva torturato e ucciso pubblicamente, per il divertimento dei presenti. Facevano pensare. Mettevano il mondo in discussione. Per questo erano stati vietati e sostituiti da tecnologie che trasformavano i componenti della società in marionette da consumismo prive di umanità.
Salvo doveva tutto a Massimo e ai libri. Massimo gli aveva aperto gli occhi, mostrandogli prove concrete, sullo stato delle cose. Quarant’anni prima era sì scoppiata una guerra nucleare, ma a causa di un nemico molto occulto: le grande organizzazioni criminali. Nonostante degli eroi si fossero opposti fino alla morte alla loro ascesa, il mondo aveva sottovalutato e trascurato il problema finché esse non accumularono un potere enorme, maggiore di qualunque stato, poiché lo controllava dall’interno. Quando si poteva ancora fare qualcosa, la gente aveva chiuso gli occhi davanti alla loro minaccia, era più facile non pensarci e non preoccuparsi. Ma le conseguenze non tardarono a manifestarsi.
Scontente dell’ordine mondiale, le più potenti tra le organizzazioni, fecero scoppiare un conflitto atroce e nel caos presero il potere assoluto in ogni paese esistente. La Drangheta non era un gruppo di uomini perfetti che aveva salvato Milano, erano i capi, o meglio gli eredi, della più potente tra queste organizzazioni: la ‘ndrangheta, che ora dominava due terzi del pianeta. E chiamare la loro assemblea così era proprio una risata in faccia al mondo.
Il problema era che la gente non se n’era nemmeno accorta, presa dall’apparenza, dalla moda e la tecnologia, così la nuova Drangheta amplificò fino all’esasperazione tutti questi elementi, tra l’altro legalizzando le droghe che uccisero centinaia di migliaia di persone, guadagnandosi un consenso popolare illimitato, e quindi un potere equivalente.
Ma quel giorno era diverso: quel giorno Massimo arrivò dicendo che doveva scappare, l’Inquisizione aveva scoperto che lui possedeva libri e presto sarebbero arrivati. Salvo rispose istintivamente che voleva venire con lui, Massimo lo fissò intensamente, conosceva Salvo e sapeva bene che aveva una volontà inarrestabile e che non avrebbe resistito senza di lui in quella folle città. Acconsentì.
Prima di partire scelse tre libri: Tipi psicologici di Jung, La Vita della Mente di Arendt, La Filosofia dell’Esistenza di Jaspers.
Salvo fece altrettanto: prese 1984 di Orwell, le Cronache del Mondo Emerso di Troisi, Annibale di Granzotto.
Così, dopo una fuga davvero rocambolesca, scapparono da Milano e dopo un’estenuante marcia in mezzo al niente arrivarono in una specie di piccolo villaggio nascosto: la Base.
Lì Massimo gli rivelò l’esistenza di una resistenza che combatteva lo strapotere e le ingiustizie della 'ndrangheta, come si ostinava a chiamarla, e che la contrastavano attraverso il sabotaggio delle fabbriche di dispositivi elettronici, vestiti di marca, raffinerie di droga e altri tipi d’oppio per uomini. Ma praticavano anche l’omicidio, colpendo i politici che si esponevano, un fatto comunque raro e sporadico.
Così Salvo decise di entrare nella resistenza e passò dieci anni a istruirsi per le prove mentali e ad addestrarsi per le prove fisiche. Non riuscì però a socializzare molto: spesso i suoi coetanei lo guardavano con sospetto, lui veniva dal loro regno, e faticava ad aprirsi. Per anni aveva finto e dissimulato, si era abituato a tenere a distanza gli altri, a non fidarsi e a non aprire il cuore: era un meccanismo psicologico troppo interiorizzato per essere invertito. Quindi non trovò nemmeno una ragazza da amare, e sì che lui ne aveva di amore da dare.
Nonostante ciò era comunque felice di essersene andato, non gli mancava nessuno, nemmeno i genitori, ed era libero dalla paranoia ossessionante di essere preso e torturato dall’Inquisizione.
Inoltre gioiva di vivere in mezzo a persone vere.
Ma solo con Massimo si lasciava andare. Lui ne era consapevole e talvolta si rammaricava e colpevolizzava di averlo portato con sé. In fondo però sapeva che aveva fatto bene.

Passarono dieci anni: correva il novembre 2099: si avvicinava il Capodanno del nuovo secolo!
E grazie a esso si presentò un’occasione irripetibile. Come spesso accade, quando gli uomini credono di aver in pugno la situazione, diventano arroganti e stupidi, e si espongono a rischi eccessivi.
Grazie a un infiltrato dalla grande portata, si venne a sapere che tutti gli esponenti della Drangheta per la notte del 31 avrebbero festeggiato in una discoteca celeberrima a Milano, dove si diceva che la musica, l’alcool, la droga e le donne fossero di una qualità eccelsa.
Allora la Resistenza organizzò un dettagliatissimo piano d’assalto per uccidere tutti i capi, incluso il leggendario leader della Drangheta, l’uomo che teneva in mano il destino di due terzi del mondo. Quello era il momento.
In questo modo avvenne tutto: un gruppo armato di trenta uomini travestiti entrarono nella discoteca a Capodanno e cominciò la carneficina. Così era cominciata, così era arrivato a quel punto.
Salvo era davanti alla porta che si frapponeva tra lui e il grande leader. Più indietro i suoi compagni si stavano occupando degli altri capi. Respirò profondamente poi si fece coraggio, sfondò la porta.
Appena entrato, sparò all’impazzata. Il rumore dei proiettili saturò l’aria a lungo. Poi terminò.
Salvo guardò bene la sua vittima: un vecchio cadente con una pistola d’oro. Nonostante la sua età e le sue condizioni, ancora attaccato al potere, incapace di lasciarlo. In quel momento i suoi occhi parlarono di un’infinita brama di potere, un odio immenso e un’eterna promessa di vendetta. Poi si spensero. Che bassezze può raggiungere l’essere umano.
In quel momento Salvo si accorse di essere gravemente ferito al petto. Si accasciò a terra.
Il petto brucia, il sangue alla bocca, i colori si spengono.
Gettò uno sguardo all’orologio della stanza, mancavano ancora dieci minuti a mezzanotte.
Salvo sorrise: ce l’aveva fatta. Il nuovo secolo sarebbe stato libero dall’oppressione e dall’incubo della ‘ndrangheta.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010