Concetto di futuro, come evoluzione della realtà o come sua alternativa
Cos’è il futuro?
Futuro:
Che deve ancora venire, verificarsi.
Di persona, che in un tempo avvenire ricoprirà un determinato ruolo.
Quello che deve o può avvenire nel tempo.
Tempo della coniugazione verbale che colloca, è enunciato in un momento successivo all’istante presente.
I posteri.
Questa è la definizione indicata sul vocabolario e, in tutti e cinque i casi, anche se diversi, specifica qualcosa di non ancora raggiunto, ma che verrà; qualcosa di misterioso e sconosciuto, di cui ora non possiamo sapere quasi nulla.
È qualcosa che non conosciamo: possiamo immaginarlo, sognarlo, pianificarlo, ma non lo conosciamo bene ancora. Arriverà con calma, a suo tempo, giorno dopo giorno, secondo dopo secondo, ma fin quando non arriva noi non saremo a conoscenza della sua esistenza.
Si può paragonare il futuro un po’ a un libro: inizia tutto con la scelta, personale per ognuno di noi. C’è chi lo sceglie per l’autore, chi per la copertina, qualcuno per curiosità e altri ancora per ispirazione: ma tutte queste persone scelgono quel determinato libro fra molti altri, perché se lo sentono dentro, perché è il destino, il futuro che impone e che ha deciso così, perché in qualche modo libro e persona sono legati fra loro e quindi lo prendono e iniziano a leggerlo, pagina dopo pagina.
Parola dopo parola scoprono qualcosa di nuovo, qualcosa che li fa sognare, immaginare cosa succederà poi; a volte indovinano, a volte no, ma in entrambi i casi continuano a leggere per andare avanti, perché mentre leggono loro diventano il libro, ne prendono parte e quando sopraggiunge qualcosa di divertente o di sconvolgente, diverte e sconvolge pure loro, i lettori, e alla fine quando, voltando l’ultima pagina trovano la parola FINE scritta in stampatello maiuscolo, ci rimangono male perché è un po’ come se fosse finito un gioco, un’avventura, che aveva come scopo immaginare e sognare qualcosa di diverso da noi, ma allo stesso tempo simile, qualcosa di misterioso che potrebbe realizzarsi, come potrebbe non farlo.
Si può paragonare, però, il libro, oltre che al futuro anche alla vita, la quale si basa sul futuro e ne comprende due diversi tipi: uno più vicino a noi, che si manifesta secondo dopo secondo, e avviene quasi contemporaneamente al nostro presente, ma, comunque, a volte è in grado di sconvolgerci; l’altro è quello considerato il più lontano, quello che avverrà fra molto tempo, ma in realtà è, dei due, quello più vicino, perché la maggior parte dei nostri sogni sul futuro si basa su quello visto come lontano, che non arriverà mai, ma realmente più vicino a noi stessi di quanto immaginiamo, è sempre con noi e ci rimane accanto grazie ai nostri sogni.
Mentre il futuro vicino corrisponde alle pagine, una dopo l’altra, del nostro libro, quello lontano corrisponde al to be continued della storia, ciò che avverrà poi, nel libro successivo. Per entrambi noi ci facciamo un’idea su cosa potrebbe succedere ma, mentre per il primo noi siamo certi di venirlo a conoscere perché sta lì, presente tra quelle pagine e tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di tempo per leggerlo, riguardo al to be continued noi non lo sapremo mai, a meno che non esca il libro successivo, così che la storia continui, altrimenti ci rimarrà tutto nascosto e la nostra conoscenza sui fatti si fermerà dopo il punto dell’ultima pagina, dopo il misterioso e fatale the end.
A volte immaginiamo il nostro futuro inserendoci cose che desidereremmo avere ora, ma dato che questo non ci è concesso, lo inseriamo nei sogni del nostro domani e anche del dopo ancora.
L’importante è averle, anche se solo nella nostra mente. Questo tipo di immaginazione crea l’immagine di ciò che desidereremmo avere o essere ora, ma non avendone la possibilità, la portiamo a essere l’immagine di ciò che vorremmo che succeda, a diventare il nostro futuro, un futuro che derivi dal presente e che sia quindi un’evoluzione della realtà. In altri casi il desiderio è talmente forte che rimane nell’immaginazione come futuro, ma nel nostro cuore prende il posto di desiderio forte che quello immaginato come futuro diventi la realtà, prendendone così il posto come sua alternativa.
Il desiderio del futuro si basa su tre importanti azioni: sognare, immaginare e pianificare.
Il sogno è quello più comune: è quella cosa che ci segue sempre, senza abbandonarci mai. Noi sogniamo a occhi chiusi, a occhi aperti, mentre parliamo e dormiamo, e anche se i sogni cambiano, quelli che abbiamo generato, anche se in un tempo passato, rimarranno sempre con noi, diventando parte di noi. Si possono realizzare oppure no, ma quando questo non accade, noi soffriamo perché erano diventati così reali nella nostra mente da riuscire a convincere della loro esistenza pure noi stessi. Al primo impatto fa male vedere il proprio sogno non realizzarsi, o andare in frantumi, ma è solo un dolore leggero, veloce, dura il tempo di un pizzico, e poi passa, lasciando nella mente il ricordo di un sogno, probabilmente bellissimo, che almeno per un istante, ci ha fatto sorridere. Lasciando nella mente il ricordo di un sogno, probabilmente bellissimo, che non ci abbandonerà mai più.
Anche l’immagine rimane sempre con noi, ma a differenza del sogno, cambia: cambia in base a ciò che accade, agli avvenimenti e da come vengono vissuti da noi, dal nostro Io. L’immaginazione è qualcosa che può accadere, ma che si realizzi o meno non è di grande importanza. Ciò che davvero conta, nell’immaginazione, è che solo pochi possono averla, solo coloro che continuano ad avere qualcosa in cui credere, per cui andare avanti. Se non si avvera non ci delude, non ci fa male, perché noi lo sappiamo che è solo frutto della nostra psiche. È come una canzoncina inventata, che dopo qualche ora ci ricorderemo solo a tratti e magari cambieremo anche qualche nota.
Ma non ci deluderà, perché si tratta quasi di un gioco, di un passatempo e forse, delle tre, è quella che ci dà maggior soddisfazione.
I progetti sono i peggiori: fanno sognare, esaltare, perdere il lume della ragione e, alla fine, distruggono tutto. È inutile progettare tutto nei minimi dettagli, è inutile programmare ogni singola parola, gesto e movimento, perché noi non possiamo programmare il tempo. In qualsiasi occasione, dopo aver progettato bene tutto, può accadere qualcosa che annulli i piani, che li faccia crollare come i piani di una casa di lego, finché tutto non sia a terra, lasciandoci ammirare la disfatta del nostro lavoro tanto progettato, lasciandoci soffrire, in silenzio, guardando quei residui di programmi, ridotti a macerie, guardando quei mattoncini disposti in ordine sparso sul pavimento, ognuno in un posto che non sia il suo, quello precedentemente prestabilito.
Lasciandoci guardare tutti i nostri piani e programmi, sciogliersi e scomparire come un foglio di carta dimenticato sotto la pioggia. Per questo è meglio non pensare, non programmare. La cosa più importante è fare tutto, di getto, accettandolo così come accade. D’impulso. Gettarsi velocemente, di corsa, verso la meta, correndo sempre più veloce e assaporando ogni istante di quell’irrefrenabile corsa. Vivere secondo dopo secondo, sentendo il dolore che piano sale dalle punte dei piedi, arrampicandosi sempre di più, sempre più in su, per il nostro corpo. Assaporando l’aria che ci rinfresca e, intanto, ci sferza la faccia, comprendendo passo dopo passo che la meta è sempre più vicina, che gli ostacoli di percorso sono nulla rispetto al desiderio che si prova nel raggiungere l’obiettivo: la meta.
I progetti portano delusioni. La vita anche soddisfazioni. Si dice da’ tempo al tempo ma, forse, più che darlo è meglio prenderlo. Guadagnare secondo dopo secondo lo spazio che ti divide dalla meta.
In certi casi, però, tutto è inutile, né la determinazione né la sicurezza ci possono essere d’aiuto.
Il libro, infatti, è già stato scritto e il nostro futuro è determinato tra quelle pagine, non dietro al to be continued ma proprio tra quelle righe, fra quelle parole.
A volte è inutile sia sperare che pianificare il nostro futuro perché un coltello, un’auto o l’ignoranza della medicina, possono simboleggiare contemporaneamente due cose: tutto e niente. Tutto ciò che verrà dopo è espresso in un secondo, ma quel tutto, alla fine, si scopre essere niente. Quel tutto, un secondo dopo, può simboleggiare solo una cosa: The end. FINE.
Può essere che qualcuno si chieda “Un secondo dopo a cosa?”.
In realtà, la risposta a questa domanda non esiste. Potrebbe essere il secondo dopo a ora, o il secondo dopo a fra tre ore o il secondo dopo a una cena con gli amici… non si sa quale sia il secondo dopo, o meglio, quale sia il secondo prima del secondo dopo; perché se lo sapessimo ci dispereremmo per tutta la durata del nostro libro, così invece abbiamo la possibilità di vivere secondo dopo secondo, apprezzandone ciascuno per il suo valore, purché piccolo e breve che sia, il valore che ha è grande, perché i sentimenti e le emozioni che proviamo in quell’attimo, non le proviamo uguali mai più.
Simili sì, ma non uguali.
Questo è il futuro: è qualcosa di limitato, raramente infinito, che ci impiega tanto ad arrivare, dura il tempo di mezzo pensiero, di una parola, giusto l’istante di un secondo, l’istante di scrivere una lettera; e poi diventa passato. Per sempre.
Non si avrà mai più un istante, un futuro, vissuto come quello appena passato, per questo è bene viverli tutti, uno a uno: perché noi, ora, in ogni istante della nostra vita, siamo contemporaneamente passato, presente e futuro. Noi siamo queste tre cose, questi tre tempi, che tutti e tre insieme ci formano, rendendoci vivi, fino all’ultima pagina, l’ultima parola, l’ultima lettera, la fine del libro, il The end, che a volte termina con un punto, ma a volte ci dà la possibilità di mettere una virgola, di scrivere to be continued, per darci la possibilità di sognare ancora, di immaginare e, se vogliamo, di pianificare. Ci dà la possibilità di avere ancora qualcosa in cui credere per andare avanti, e poter leggere il capitolo due della nostra storia; e chissà, magari anche il tre.
Ci dà la possibilità di continuare, continuare a essere noi, vivi, passato, presente, futuro.
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