Ulisse 2000
L’uomo camminava sulla superficie del pianeta. Davanti il futuro, dietro il mondo.
L’umanità intera osservava l’individuo nella tuta d’astronauta che avanzava stupefatto, pioniere e rappresentante di una razza da otto miliardi di individui.
Aveva pensato a lungo a questo momento, per tutto il tragitto fino a lì. Sapeva che quello che avrebbe detto sarebbe diventato un giorno il motto, il grido e lo sprone delle nuove generazioni. Ci aveva pensato, ma ancora non sapeva cosa dire. Cercava qualcosa di innovativo, particolarmente intelligente, raffinato.
Ma niente gli sembrava adatto al momento. Cercò dentro di sé. Si rivide, bambino neanche in età scolastica, accanto alla radio scassata dello zio, mentre pregava, contagiato dalle emozioni degli adulti, che non si interrompesse il collegamento, che il fiume di incredibili parole non s’arrestasse, che l’incredibile stesse per accadere, lì, in quel momento, e loro ne sarebbero stati testimoni.
E poi, e poi, era successo, un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità, l’incredulità, l’euforia, il desiderio, un giorno, di essere lui, di essere al posto del leggendario astronauta, di far avanzare l’umanità di un altro passo.
Era stato difficile, faticoso. Ma quelle parole erano lì, con lui, e lui ci aveva creduto, con caparbietà e tenacia. Aveva pensato a questo durante il viaggio, aveva capito che la parte più importante della missione spaziale non era raggiungere il pianeta, era nelle parole che doveva dire, che stava per dire, che voleva dire. Doveva svegliare i cuori dei giovani, far sognare, far sognare e dare sogni. Sogni come il suo, affinché continuasse il giro, affinché non si arrestassero i passi del cammino dell’umanità.
Si fermò, immobile, nel nulla. Dietro di lui l’astronave, brillante sotto i raggi del sole, appena schermati dall’atmosfera. Davanti l’inesplorato, lo sconosciuto, il pericolo. Continuò a pensare.
Si chiese se Armstrong avesse pensato da solo le parole, o magari se le fosse fatte suggerire, o comunque avesse preso l’idea discutendone con qualcun altro. Lui non aveva voluto, anche perché certi suggerimenti dei compagni di viaggio erano alquanto ironici. Il secondo pilota, per esempio, gli aveva suggerito di raccontare una barzelletta. Si immaginò la scena: il silenzio assoluto, l’attesa, la stessa che avvertiva in quel momento, palpabile intorno a sé… e poi la barzelletta.
Certo, una cosa così non sarebbe stata facile da dimenticare, ma sarebbe stato difficile che qualche ragazzino sognatore, attaccato a un qualsiasi apparecchio ricevente della Terra, assumesse quale suo ideale di vita la conquista di un altro pianeta, primo magari, nella storia dell’umanità, il raggiungimento di un altro sistema solare, per avere il mondo intero come pubblico per una barzelletta.
Sentiva che non aveva più molto tempo, che l’impazienza cresceva, che attraverso la radio, sulla Terra, si preparavano a parlare, a fargli delle domande. Pensò ai suoi anni da studente, chiedendosi se si fosse mai imbattuto nella frase di qualche personaggio che l’avesse particolarmente colpito, che sarebbe stata adatta al momento.
Scorse rapidamente tutta la sua vita, un rapidissimo flashback, alla ricerca di qualcosa.
Poi un lampo, un’illuminazione, e l’idea era lì, ora sapeva quello che doveva dire. Si fermò. Diede una lunga occhiata intorno a sé.
Sulla Terra coloro che stavano davanti ai televisori, collegati alle telecamere esterne dell’astronave, si protesero verso il loro schermo.
L’uomo aprì il collegamento radio e parlò.
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