Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

Lya

Lya aprì gli occhi e guardò il soffitto di paglia che si estendeva sopra di lei.
Il canto degli uccelli l’aveva svegliata in tempo, bene. Il sole non era sorto, e Lya poteva ancora raggiungere suo padre sulla piccola collina per vedere l’astro estirparsi lentamente dagli abissi e infine elevarsi nel cielo azzurro. Suo padre amava guardare l’alba, le raccontava che era lo sguardo degli antenati che vegliano su di loro.
Lya infilò la tunica e, correndo, si diresse verso la duna verde. Suo padre la aspettava, come ogni mattina, con un’ombra di sorriso in volto. Lya lo raggiunse e il loro rituale mattutino cominciò: si sedettero incrociando le gambe e lui iniziò a parlare con la sua voce grave, quasi gutturale.
Ghiò riteneva molto importante dedicare una parte della giornata a ricordarsi del passato e per ciò, tutte le mattine da quindici primavere, faceva sedere Lya accanto a sé per raccontarle della fine dell’ultima era.
L’ultima era si concluse duecento primavere prima, quando si erano abbattute su ogni città del mondo i pesanti sassi venuti dal cielo, distruggendo tutto. La pioggia di fuoco aveva allora segnato la fine dell’evoluzione umana. Più dei tre quarti dell’umanità era stata distrutta in un soffio di polvere rossa. Solo gli Uomini che abitavano in campagna si erano salvati e i cittadini che erano fuori città.
Ma un altro fenomeno si era allora verificato: l’energia sembrava essere scomparsa e ogni macchina costruita dall’uomo non era più in grado di funzionare. In qualche giorno le città si erano ridotte a crateri giganteschi e le macchine arrugginite si erano immobilizzate. La natura cominciò a riprendere il sopravvento, e l’uomo si trovò ad affrontare quello che per migliaia di anni aveva cercato di distruggere: la Natura selvaggia.
Il popolo rimasto cominciò a organizzarsi. Dappertutto si crearono piccole comunità di cacciatori in grado di eseguire lavori manuali che, per nutrirsi, si convertirono in nomadi. Quelli che non erano capaci di un tale cambiamento, venivano per necessità lasciati indietro. La comunicazione avveniva solo in modo orale poiché i testi erano stati distrutti o dispersi, non essendo essenziali alla sopravvivenza. Tutto ciò che era considerato ingombrante veniva bruciato per riscaldarsi, e una volta che i fiammiferi finirono, l’Uomo dovette riscoprire il fuoco. Fino al quel giorno, i gruppi di persone selezionate dalla Natura divennero vere e proprie tribù di nomadi. Fra le tribù, la legge era dell’occhio per occhio, dente per dente; la comunicazione era quasi inesistente e le piccole comunità si evitavano, per non provocare scontri. Così, ognuna sviluppò un proprio linguaggio. Lo scopo dei membri era la sopravvivenza del gruppo. Tutto era messo in comune nel branco di circa trenta persone: cibo, acqua, fuoco, tuniche, paglia. E così fino a quel mattino la razza umana era riuscita a sopravvivere.
Ghiò tacque e trasse un lungo respiro. A Lya piaceva ascoltare quella storia, ma quel giorno, sembrava pensierosa,
«Lya, cosa hai?».
«Mi chiedevo, disse lei, mantenendo lo sguardo distaccato, perché mi parli sempre di quello che è successo dopo la pioggia di fuoco?».
«Lo sai che non posso parlarti di quello che è successo prima, gli Sciacrani non lo permettono».
A Lya piaceva ascoltare quella storia, ma in realtà, ne capiva poco il significato. Suo padre pronunciava parole che non avevano nessun senso per lei: città, macchine, testi.
“Gli Sciacrani”, pensò Lya.
In ogni comunità, ne sono presenti cinque. Hanno il compito di vegliare sulle tribù e preservare la grazia degli antenati. Dicono di avere accesso al sapere assoluto, e tutti li rispettano. Dicono che il dio Sole li ha incaricati del controllo del branco. Gli Sciacrani proibiscono tante cose e stabiliscono tante regole. La più importante dice che è proibito parlare di quello che succedeva prima della pioggia di fuoco.
Ma il padre di Lya sa. E il padre di suo padre prima di lui. La famiglia di Lya ha fatto un patto con gli Sciacrani e la storia continua a essere raccontata dai suoi membri, quando sono alla soglia del sonno eterno. Ma Lya è curiosa dei misteri che esistono attorno ai cosiddetti preti.
Perché non si può parlare di prima? Perché i messaggeri del dio Sole portano sempre con loro sacchi di cuoio enormi e ingombranti? Nel branco sono tutti occupati a cacciare, trovare acqua, costruire e smontare. Nessuno si interessa alle sue riflessioni. Il solo che la può capire è suo padre, ma le rivelerà la verità solo una volta che sarà pronto a dirle addio.
In una notte molto buia, Lya aveva sbirciato nella tenda degli Sciacrani mentre tutti dormivano, e aveva visto il contenuto dei sacchi posato per terra: centinaia di ammassi di foglie bianche legate fra loro. Lya non sapeva cosa fossero ma aveva un presentimento: suo padre le parlava di oggetti proibiti chiamati libri; affascinata, pensò di averne alcuni esemplari davanti a sé.
Una volta che ebbero finito, si congedò dal padre e partì per la raccolta.
Lya era molto magra, troppo magra, troppo fragile per i duri lavori manuali o la caccia. Alla nascita, gli Sciacrani vollero abbandonarla perché la comunità non deve avere membri ingombranti. Suo padre lottò fino alla fine: la sua donna era morta durante il parto e il piccolo essere era tutto ciò che gli restava. Aveva allora educato la figlia con tutto il cuore e malgrado tutti i suoi sforzi, Lya aveva ottenuto nel branco uno statuto di emarginata. Troppo debole, non apprezzata dagli altri per via della sua gracilità, si dedicava alla raccolta.
Lya si diresse verso una zona fertile che aveva adocchiato la sera prima e cominciò il lavoro, lasciando la mente vagare. Era in età dove le altre donne cominciavano ad allevare bambini ma chi avrebbe potuto volerla come donna? Sospirò e continuò la raccolta: non aveva bisogno di questo con un mondo così interessante da scoprire, pensò per rasserenarsi. Lya si era immersa nei suoi pensieri e aveva continuato a camminare e riempire il sacco di cuoio senza guardare dove andava.
Presto si ritrovò nel bel mezzo della foresta. Una goccia calda cadde e le rotolò allegramente sulla fronte, riportandola alla realtà. Guardò verso il cielo: nuvole nere si stendevano a perdita d’occhio sopra di lei. I suoi occhi si abbassarono sulla foresta attorno a lei.
«Che sciocca!», esclamò. Iniziò a correre tornando sui suoi passi, doveva affrettarsi prima che la pioggia cancellasse le sue tracce. Troppo tardi, la pioggia torrenziale cominciò ad abbattersi dappertutto. Devo trovare un riparo, si disse, e così iniziò a cercare correndo una sporgenza rocciosa. Nel cuore della tempesta trovò finalmente una grotta. Pregando perché fosse disabitata vi ci entrò.
Vuota! La grotta era buia e fredda, Lya si diresse verso il fondo, per ripararsi meglio ma invece di trovare un ammasso di rocce, incontrò solo il nulla. Incuriosita, continuò ad avanzare nella tenebre in quella grotta senza fine. Il suo cuore palpitava sempre più velocemente e il sangue affluiva forte nelle vene mentre scendeva sempre di più nella viscere di pietra. Non vedeva niente ma sentiva il passaggio stringersi sempre di più.
Infine arrivò in un luogo che le sembrò più vasto. Lya tirò un sospiro di sollievo, che rimbombò per ben trenta secondi. Si irrigidì di colpo: in che strano luogo era finita? Aprì gli occhi al massimo ma non riusciva a scorgere nulla. Risalì allora alla superficie, dove la pioggia aveva smesso di battere.
Che fare? Avvisare gli altri o proseguire da sola l’esaltante esplorazione? La seconda regola degli Sciacrani imponeva che ognuno agisse unicamente per la comunità. A quel pensiero Lya si decise, staccò un ramoscello, poi un altro e si costruì una torcia, prima di tornare, ancora più esaltata di prima, nel suo passaggio segreto. Correndo quasi dall’eccitazione, arrivò nel luogo più ampio.
Lì, quello che vide la fece cadere per terra: Lya chiuse gli occhi più forte che poteva e rimase distesa per qualche minuto, con il cuore che batteva a mille. Poi si rialzò e, esterrefatta, avanzò nel luogo sconosciuto. Ammassi di pietra quadrata, alti come montagne, bucati in più parti, ai suoi piedi, sassi densi, come un fango solido, macchiati in certi punti di bianco. Lya non credeva ai suoi occhi, che fossero le città, nominate dal padre? Lya ne era sicura, non dubitava più, la sensazione di aver scoperto qualcosa di straordinario la faceva fremere fino alla punta dei capelli. Come era potuto succedere questo miracolo? Le città erano state tutte distrutte! Le venne l’illuminazione, le rocce cadendo avevano creato una cupola sopra questo luogo preservandolo dall’apocalisse. Dopo essersi inoltrata nella città sconosciuta, penetrò in quelle che dovevano essere le abitazioni, molto più spaziose delle loro tende in paglia.
Fuori, la notte calava e Ghiò guardava preoccupato la foresta. L’indomani avrebbero dovuto partire per raggiungere il prossimo punto d’acqua. Cos’era successo a sua figlia?
Dopo aver vagato per qualche ora, e aver abbondantemente mangiato dalla sua raccolta, Lya si concesse una pausa per riflettere: gli Sciacrani ritenevano che ogni contatto con il passato fosse impuro e contro la volontà di Dio. Dicevano che avrebbe portato alla distruzione dell’umanità una volta per tutte.
Ma lì, vedeva solo meraviglie. Le idee affluivano nella sua mente e intuiva la genialità del luogo e dei suoi abitanti. Case grandi per contenere più gente, quindi una popolazione più importante, più lavoratori, più provviste; non ci sarebbe più bisogno di spostarsi ogni giorno, tutto sarebbe stato portato nella… città. Anche l’acqua!
Elettrizzata, Lya sentì il bisogno di raccontare tutto a suo padre. Ma aveva bisogno di una prova: decise di prendere uno di quei libri, come quelli degli Sciacrani. Aprendolo scoprì strani simboli che la intrigarono molto, ma Lya non si attardò, concentrata sulla sua missione.
Arrivò dopo essersi persa più volte all’accampamento, mentre tutti stavano andando via, e corse verso il padre nascondendo il libro sotto la tunica. Lui la abbracciò, sollevato, e Lya disse che si era riparata durante la tempesta e che si era addormentata. Il viaggio cominciò senza altre spiegazioni, ma Ghiò notò il rosso insolito che colorava le guance della sua pallida figlia.
Eccetto qualche strano sguardo malevolo da parte degli Sciacrani, nessuno la considerò e il viaggio trascorse tranquillamente…
All’arrivo, si montarono le abitazioni provvisorie e tutti si addormentarono dopo aver cenato in silenzio, esausti. Una volta soli, Lya chiamò il padre e decise di raccontargli la sua avventura: il passaggio segreto fra le rocce, la città, i piccoli simboli, le magnifiche invenzioni che aveva visto… Tirò fuori anche il libro per mostrarli meglio. Ghiò la ascoltava in silenzio. Quando ebbe finito e alzò lo sguardo, gli vide in faccia un’espressione inorridita.
«Lya» disse «non sai che rischio corri, non sai quali conseguenze hanno avuto quelle invenzioni per l’umanità. Non devi parlare con nessuno di quello che hai visto, promettimelo».
Lya rimase a bocca aperta e tutti i suoi progetti svanirono di colpo: l’unica persona che pensava in grado di capirla l’aveva abbandonata. Come fargli aprire gli occhi?
«Papà» disse «non capisci che possiamo rivoluzionare il mondo?».
«Lya, non dire queste sciocchezze e dormi» rispose lui con un tono glaciale.
Lya si morse le labbra e inghiottì le lacrime. Il giorno dopo non raggiunse il padre sulla collina ma si diresse sola verso la foresta. Tornando, nell’ora calda, trovò le abitazioni deserte. Entrò nella sua tenda e la scoprì sottosopra. Il libro non c’era più. Spaventata corse verso il punto d’acqua, da dove provenivano grida.
Suo padre era stato immobilizzato dagli Sciacrani e cercava di liberarsi dibattendosi a più non posso. Quando la vide le urlò di scappare ma gli altri la presero in fuga e la raggiunsero rapidamente. Lya cadde a terra e chiuse gli occhi.
Erano stati legati a tronchi e gettati alla deriva nel fiume. Esiliati, ripudiati.
Aprendo gli occhi, Lya capì subito e le lacrime affluirono sulle sue guance. Dopo qualche tempo perse di vista il padre, portata da una corrente opposta. Vagò durante ore al limite del cosciente prima di naufragare su una spiaggia. Lì, cominciò a slegarsi, poi, stremata, svenne sulla sabbia calda.
Si risvegliò a notte fonda, la testa dolorante, svuotata di tutto. Allora si alzò, guardò il cielo, e senza voltarsi si diresse verso la foresta.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010