Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

La futura me

Quando ho incontrato me stessa da grande, ero assolutamente entusiasta.
Ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto moltissimo viaggiare nel tempo ma non pensavo che ci sarei riuscita, nemmeno in un lontano futuro.
Futuro. Una parola che mi ha sempre trasmesso un misto incontenibile di eccitazione e di spavento, niente a che vedere con l’entusiasmo spensierato di quel giorno in cui mi vidi.
Ero sicurissima che mi sarei fatta un sacco di domande, com’è naturale, e non sapevo neppure da dove cominciare: da come sarei diventata, o da cosa avrei fatto, da com’era il mondo nel futuro. Chissà poi quale futuro era quello da cui venivo.
Dopo aver dedotto l’esistenza della possibilità di viaggiare nel tempo, decisi di non porre limiti alle possibilità di scenari del futuro che mi aspettava. I miei pensieri si elevarono sopra le nuvole, si espandevano senza confini oltre l’orizzonte, sfioravano le idee più incredibili… avevo spiegato delle ali che non sapevo neppure di avere, ero partita, immaginavo, senza ritorno, verso lidi fantastici…
Ma a quel punto, io, cioè lei, insomma l’altra me (cercate di capire quanto mi possa aver confuso una situazione come quella) fece una cosa che non avrei mai pensato di far(mi): interrompere le mie fantasticherie.
Personalmente lo considero un crimine contro l’umanità (o almeno la mia umanità, se così si può dire) e detesto chiunque lo faccia.
Vedermi fare una cosa simile, stava per farmi perdere la fiducia in me stessa (nel senso dell’altra me).
Per fortuna, o purtroppo, aveva un motivo davvero serio per interrompermi. Avrei dovuto immaginarlo, visto che probabilmente da grande sarei diventata abbastanza matura da usare i viaggi nel tempo con responsabilità.
L’altra me, mi si avvicinò e si fissò (fissò me) per lungo tempo senza dire nulla, mentre io scrutavo lei.
Aveva un aspetto stranissimo, perché a parte il viso che era uguale al mio non ci notavo alcuna somiglianza, ma ero sicura di essere davvero io. Aveva uno stranissimo taglio di capelli, dei vestiti ridicoli e aveva in mano un particolarissimo oggetto, una specie di specchio/televisore magico grande come un libretto.
Questo mi ha fatto pensare quanto poco possiamo sapere davvero del nostro futuro. Non aveva niente di alieno, né di volante, ma ero semplicemente io, diversa, e non sapevo neanche se migliore.
Il momento degli sguardi silenziosi era diventato imbarazzante, e decisi di rompere il ghiaccio. «Quanti anni hai?» le chiesi, timidamente, incerta se fosse una domanda da fare a una signora, o se dovevo soprassedere perché si trattava di me stessa.
«Ventisei» mi risposi.
«Caspita, sei vecchissima!» mi scappò di dirle, e l’altra me rise.
Avevo recuperato la fiducia in me stessa: ero venuta da un futuro molto lontano per raccontarmi tantissime cose! “Chissà se guiderò una macchina volante!” pensai tra me e me.
Va detto a onor di cronaca che questo incontro che ha dell’incredibile è avvenuto mentre aspettavo che la mamma finisse le sue commissioni ed era troppo impegnata per occuparsi di me.
Allora avevo sei anni ed ero abbastanza grande da aver superato la fase principessa rosa, quella in cui pensavo di diventare una principessa e di vivere in un castello rosa con le fatine.
Devo anche precisare che ora di anni ne ho venticinque, ne compio ventisei tra due giorni, giorno in cui in teoria sarei tornata indietro nel tempo ad avvertire me stessa da piccola.
Ora però le cose sono cambiate, l’ho già fatto. E diciamo pure che meglio di così non potevo fare, se non suona eccessivamente come lode di me stessa.
Stavo per ricoprirla di domande quando mi annunciò che doveva darmi soprattutto una cattiva notizia.
«Devi prestare molta attenzione alle cose che ti sto per dire» esordì lei in tono serio.
Nella sua voce potevo riconoscere la sfumatura della mia, anche se era molto più seria di quella che assumevo quando sgridavo il gatto.
«Oggi è il giorno del tuo sesto compleanno e proprio oggi una signora verrà da te e ti dirà delle cose strane» continuò, «quando la vedi, fa come se non ti avessi detto nulla, ma ricordati di fare attenzione a quello che ti dice, anche se ti spaventerà. Poi devi fare delle cose che ora ti dirò per evitare che quello che ti ha detto si avveri».
«Signora strana… ah sì quella lì!» la interruppi di colpo.
«Cosa vuoi dire con “quella lì”?» si affrettò preoccupata l’altra me.
«Una signora vecchissima, molto più vecchia di te, oggi mi ha preso la mano e ha detto…».
«Troppo tardi, lo sapevo, ho dimenticato il fuso orario!» bisbigliò con rabbia lei.
«Cos’è il fuario?» dissi io un po’ smarrita.
«Il fuso orario non è il punto. Mi dici esattamente cosa ti ha detto quella signora?» incalzò con un nervosismo di cui non mi sarei creduta capace, forse perché allora non conoscevo abbastanza bene me stessa.
Pensierosa le risposi: «ha detto una cosa come “hai una striscia sulla mano fuori dal comune”, e che molte sfortune si sarebbero abbattute su di me e…».
«Una linea» mi corresse lei e d’istinto le mostrai la mia mano, e lei mi mostrò la sua.
Era minuscola in confronto alla sua. E non era uguale. C’era una linea diversa. La mia era piccola e faceva una specie di scarabocchio, quella dell’altra me era più lunga e dritta.
«C’è ancora una speranza» disse l’altra me tra sé e sé.
«Cosa vuol dire?» le chiesi io curiosa di capirci un po’ di più, e lei mi spiazzò completamente dicendo che non voleva dire niente.
«Devi sapere che non deve importarti tanto delle linee che hai sulla mano. Non vogliono dire molto. Non deve essere una cosa importante per te. Funziona così: se credi di essere sfortunata rinuncerai a fare delle cose per paura che tanto ti vadano male, ma se non ci provi andranno male comunque. Se invece non ti lasci condizionare dalla tua mano e da quello che ti dirà altra gente a proposito puoi stare tranquilla ed evitare inutili preoccupazioni, che sono solo noiose e pericolose. Ora per me la mano è solo un simbolo, una specie di prova per vedere se le cose vanno bene o no. C’entra con il viaggio del tempo, non c’è bisogno che tu capisca questi dettagli. Fino a qualche istante fa la mia mano era come la tua. Ora sta cambiando».
«Sì ma perché mi ha detto quella cosa? Cosa vuol dire fuori dal comune
«Niente di buono. Mi sono successe un sacco di cose, che forse non ti succederanno, e mi dovevano accadere ancora delle cose molto brutte, non solo a me, ma anche alle persone che ti staranno vicina, mi segui?».
Annuii.
«Ma ora non ci devi assolutamente pensare, devi stare tranquilla, perché adesso le cose potranno finalmente cambiare e non solo per te. Hai l’occasione di riscrivere il mio passato, che è il tuo futuro».
Non capivo molto perciò le chiesi di raccontarmi quello che mi sarebbe successo.
«Non posso, perché non lo so. Ormai sto cambiando il tuo futuro, e forse la storia con questo viaggio nel tempo, ma dovevo assolutamente fare così».
«Il futuro da cui vieni è brutto?».
«Ecco… eh, non è bruttissimo, ma potrebbe essere più bello. E per migliorare ha bisogno anche di te. Per questo sono venuta ad avvisarti».
«E perché non puoi fare qualcosa tu per renderlo più bello quando torni nel futuro? Cosa c’entra la bambina che eri?».
«È per via delle cose brutte che mi sarebbero capitate, che ti sarebbero capitate. Parlare con te è un modo per evitarle a te».
«Ma io cosa c’entro col futuro da cui vieni?».
«Il futuro non è un mondo modernissimo isolato dal tempo: infatti il futuro da cui vengo, come l’hai chiamato tu, non è altro che il tuo futuro, è una parte della tua vita, ti appartiene. Io lo so, perché sono te, tu a volte sogni come sarai da grande, quindi devi tenerci al futuro, così lo sentirai davvero tuo!».
Ogni sua risposta era così carica di interesse da parte sua. Diceva cose complicatissime in modo semplice con un che di sognante, ma in modo lontano, come la speranza delle poesie.
Faceva nascere in me sempre nuove domande e a allora chiesi: «Io diventerò te?».
«Più o meno, se vuoi puoi diventare ancora più bella, ancora più brava, fare delle cose incredibili, realizzare i tuoi sogni migliori».
«E come?».
«Dipende tutto da noi il nostro futuro. Possiamo costruirlo nel modo migliore in cui riusciamo, ma non da soli. Come io aiuto te, tutti dovremmo aiutarci tra di noi in modo di non diventare tristi».
«Ma ci sono le macchine che volano?» dissi perché il discorso stava diventando troppo serio per i miei gusti di bambina.
«Diciamo di sì» rispose sorridendo, e a questa risposta mi s’illuminò il viso e ricominciai a scorrere tra le onde della mia curiosità col desiderio di inondarla di domande.
«Wow! E il coso magico che hai in mano cos’è?».
«È un telefono».
«Non ci credo!».
«Fai bene, è molto di più. Può mettermi in contatto con tutto il mondo!».
«Conoscerò tutte le persone del mondo! Wow! Quindi sono una principessa!».
«Non proprio».
«Una regina?».
«Neanche».
«Una presidenta!».
«Magari puoi diventarlo! Chi lo sa!».
«Che anno è quello da cui vieni?».
«2015»
«Cosa? Ma allora sei molto più vecchia di ventisei anni!».
«No, è solo una grande somma. 1995, l’anno in cui vivi, più venti, gli anni di cui sono più grande» mi spiegò ridacchiando.
La matematica non mi piaceva in prima elementare, come non mi piace adesso. Solo che ora so contare un po’ meglio.
«Cos’altro succede nel futuro?».
«Tantissime cose belle, tantissime brutte, cose che magari credi impossibili!».
«Come il viaggio nel tempo?».
«Sì brava! Proprio così.» disse pensando di aver finito.
Mi abbracciò e mi salutò e poi si girò per andare via, immaginai verso la macchina del tempo.
In quel momento però sapevo che c’era qualcosa che dovevo chiederle dal profondo.
Quindi la rincorsi per quei pochi metri e le feci la domanda più importante che abbia mai fatto: «quindi se immagino una cosa diventa vera?».
Lei sorrise e concluse con una frase che non mi dimenticherò mai: «Non possiamo mai sapere fino a dove arriva la nostra immaginazione, né fin dove arriverà la realtà, perché non ha un vero confine, se non quello che ci imponiamo noi stessi. Tu non importelo mai».


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010