Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

Sogno lucido

Seduta Uno - 5 giugno 2012 martedì

Yurei sorrise sorreggendo il blocco degli appunti e la solita penna; scrisse a grandi lettere in stampatello al centro il titolo della seduta di quel giorno: SOGNO LUCIDO.
I suoi piccoli occhi a mandorla trasudavano un’insolita allegria.
Schioccò le dita in maniera gioiosa pregustando una nuova e interessante seduta: ogni paziente aveva un blocco personale di un colore diverso e di colori ce ne erano tanti…
A Loris era toccato uno verdino, color dentifricio stinto.
Non un gran colore, pensò Yurei mentre il suo paziente pareva destarsi da uno stato di torpore.
«Perfetto signor Loris, iniziamo dal principio».
«E qual è il principio?».
«Non lo sa? Beh, allora diremo che il principio è un punto qualsiasi che reputa rilevante; se per lei l’inizio è uguale alla fine allora può iniziare dalla fine».
Loris sospirò, la stanza iniziava a diventare sempre più piccola; chiuse gli occhi ma con i pensieri si cimentò nell’esercizio proposto e tornò lontano… o forse vicino… Non lo sapeva.
«Non sono un grande amante di libri, né di gite in barca o passeggiate in montagna, nemmeno di parapendio e neanche di cucina. Vede… vivo come in un sogno lucido.
«Lo chiamo così perché è come se tutto il giorno fossi pervaso da quella sensazione che hai non appena ti svegli: quando apri gli occhi e hai l’angoscia che quello che hai sognato sia qualcosa di reale! È terribile!».
Yurei appuntò tutto pensando che il suo nuovo paziente probabilmente soffriva di forti manie di persecuzioni e di una profonda e non meglio definita ansia, dettata forse dalla sua poca autostima.
«Si sente così quando si sveglia?».
«Io non dormo mai».
Yurei riprese guardare in viso Loris, staccando la penna dal foglio e smettendo di scrivere: notò che il suo paziente sembrava visibilmente scosso, sconvolto, come un uomo che non ha dormito da molto tempo.
Effettivamente quel modo di fare un po’ a scatti, a rilento e con quella voce impacciata concordava con il tipo di racconto che Loris stava esponendo; tuttavia era assolutamente impossibile quello che affermava.
Tutti hanno bisogno di dormire, e chi dice di non dormire mai di certo mente.
«Forse intende dire che ha difficoltà a dormire».
«No!» scattò a dire Loris prendendo i braccioli della poltrona con le mani e stringendoli con forza.
«Io non dormo mai, glielo assicuro. Mi sveglio non mi ricordo di essermi addormentato, cado per terra e non mi rendo conto di essere caduto, sbatto la testa e non mi ricordo contro cosa l’ho sbattuta».
Yurei assunse una posa più rilassata e scosse leggermente la testa riprendendo la penna tra le mani: «Dimenticarsi di aver dormito non è come non aver dormito».
«No, le assicuro che è come dico io» insistette il paziente.
Il dottore pensò che forse non era il caso di insistere particolarmente su questo punto già alla prima seduta. «Quando si sveglia da questo suo non sonno ha ricordi della giornata precedente?».
«A volte».
«Intende dire che ogni tanto non si ricorda, o che le capita spesso?».
«Non lo so».
Yurei chiuse gli occhi con aria grave e sorrise debolmente: «Le capita spesso di non saper rispondere a semplici domande come quelle che le sto ponendo ora?».
«Continuamente!».

Seduta Due – 12 giugno 2012 martedì

«Scemo, scemo!».
«Il pappagallo della sua fidanzata le ha detto: “Scemo, scemo”?».
«Sì, lo fa di continuo! È per questo che me lo ricordo».
«E dopo cosa è successo?».
«Poi non me lo ricordo. So che Lilith è uscita di casa e il pappagallo è rimasto a svolazzare in giro; ma non saprei dirle cosa è successo dopo. Di sicuro è successo qualcos’altro… però non so dirle che cosa».
Yurei smise di scrivere e di nuovo guardò Loris sbalordito: «Le capita di non ricordarsi parte della giornata, anche durante la giornata stessa?!».
«Sì, spessissimo».
Lo sguardo del dottore cadde sopra la riproduzione degli Orologi molli di Dalì appeso alla spalle di Loris: probabilmente la patologia di quell’uomo era più grave di quanto pensasse.
«Sa che anno è?».
«Il 2012».
«Giusto. Sa anche dirmi quale giorno?».
«Il 12 giugno. Martedì».
Il paziente sapeva che giorno era con precisione; quindi o parte di ciò che sosteneva era falso, oppure c’era qualcosa che sfuggiva a Yurei così domandò: «Adesso è mattino?».
«Non lo so».
«Pomeriggio?».
«Le ho detto che non lo so».
Ci fu una lunga pausa in cui il dottore cercò lo sguardo di Loris che si era perso in un punto qualsiasi all’altezza delle sue stringhe.
«Se le dicessi che sono le due di notte lei ci crederebbe?».
«Perché, non dovrei?».
Yurei ridacchiò: «Non dovrebbe assolutamente, infatti le finestre del mio studio sono aperte, fa caldo e c’è il sole. Alle due di notte non ci sarebbe il sole, non le pare?».
Loris non rispose, ma annuì con aria confusa e non sembrava del tutto convinto della veridicità e della logicità dell’affermazione del dottore.
«Lei ha l’abitudine di portare con sé un orologio?».
«Sì».
«»E questo non l’aiuta a capire che ore sono? Non l’aiuta a orientarsi nell’arco di tempo di una giornata?».
«A volte».
Una nuova risata, ma questa volta era un po’ più forzata: esasperata.
«Un orologio non può farle venire dei dubbi su che ore siano».
«Gli orologi segnano sempre l’ora sbagliata».
«Come, prego?!».
«Sì, segnano sempre l’ora sbagliata. Non ho mai trovato un orologio che mi abbia dato delle certezze».
Yurei era davanti al più incredibile caso di paranoia che avesse mai incontrato nella sua carriera: un uomo che dubitava di tutti, di se stesso e addirittura del tempo che passava.
Il medico si sporse ancora un po’ più avanti sulla poltrona: «Ha mai formulato un pensiero di qualunque tipo sugli orologi? Non so… ad esempio ha mai fatto caso a qualcosa che hanno in comune? O a qualcosa che la turba in particolar modo?».
«Sì, ho osservato due cose: un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, ma nemmeno in quelle due volte è comunque attendibile, proprio perché è un orologio, e non lo sarebbe a priori, non crede?
«Perché gli orologi sono infidi, lei non crede?».
Yurei lo guardò perplesso: «E la seconda osservazione cosa dice?».
«Che non è mai mezzogiorno».

Seduta Tre – 19 giugno 2012 martedì

«Che intendeva dire con la frase: “Non è mai mezzogiorno”?».
«Quello che ho detto: che non è mai mezzogiorno».
«Lei non ha mai visto in vita sua un orologio che segnasse mezzogiorno?! Mi spiace contraddirla ma credo sia impossibile!».
«Non ho detto che il mezzogiorno non esiste; semplicemente che non lo vedo mai».
«Nel senso che non si ricorda mai che cosa succede in quell’ora?».
«Certo! E per quanto ne so potrebbe essere importante».
Loris aggrottò le sopracciglia: «Dottore posso confidarle un segreto?».
Il medico annuì.
«Credo che qualcuno stia cercando di farmi impazzire proprio a mezzogiorno!».
«Mi scusi?!».
«Certo dottore! Ci pensi! Mezzogiorno è la chiave di tutto! Vede, ormai sono quasi certo che a quell’ora succeda qualcosa di incredibile: qualcosa di non umano… Perché… ho la netta sensazione che sia proprio a mezzogiorno che inizi il mio processo di deficit della memoria e poi le giornate mi si mischiano tutte assieme… insomma un vero delirio! E deve essere proprio colpa di qualcuno!
Qualcuno sta cercando di farmi impazzire, glielo assicuro».
Yurei appuntò tutto e disegnò una piccolo grechina sul margine destro del quaderno.
«Ha idee su chi possa essere?».
«Sì, ho avuto la sensazione che Lilith mi squadrasse e stesse pensando che sono malato di mente; inoltre non aveva piacere che io uscissi di casa per venire qui da lei perché mi aveva suggerito di rivolgermi altrove».
«Quindi lei attribuisce alla sua convivente la colpa di… giocare con la sua sanità mentale scombinandole la percezione del tempo?».
Loris piegò la testa da un lato e poi si chinò in avanti sulla sedia per avvicinarsi al dottore.
«No, Lilith non è così, è il sogno lucido che me la fa apparire in quel modo. Non è stata Lilith a farmi questo, ma… il pappagallo: il pappagallo sta molto meglio di me… forse è proprio lui a odiarmi a tal punto!».
Loris abbassò la testa e cominciò a guardarsi i piedi.
«Quindi il pappagallo le sta facendo… una sorta di stregoneria?!».
«Uno di questi giorni lo ammazzo e poi vedremo chi farà certi scherzetti! Eh già!».
L’incredulità di Yurei aveva raggiunto il parossismo: di certo non si poteva dire che il suo paziente mancasse di fantasia, ma di certo c’era qualcosa che gli sfuggiva… o che probabilmente aveva dimenticato.
«Devo andare Dottore! È stata molto proficua la seduta di oggi!».
«La seduta non è finita!».
«Ma io mi sento molto meglio oggi!».
Yurei ridacchiò. «Oh… Lei crede!».
Loris lo fissò con occhi vacui: «Perché non dovrebbe essere così?».
«Vede, in realtà questa conversazione io l’ho già ascoltata milioni di volte… non ha idea di quante!».
«Che intende dire?» domandò il paziente sedendosi nuovamente sulla poltroncina davanti al medico.
«Guardi lei stesso!».
Yurei porse a Loris il quaderno degli appunti delle loro sedute: un’infinita accozzaglia di pagine e pagine e pagine di appunti con date, orari, considerazioni… una vita di analisi.
«Quante volte ci siamo visti io e lei, Signor Loris?».
«Tre in tutto… questo me lo ricordo bene!» disse tremante, ma Yurei rise.
«Vede, Signor Loris, devo ammettere che per quante volte abbia rivisto questa scena… la sua faccia non smette mai di divertirmi, ma non si deve preoccupare; glielo ho già detto tante volte!».
Loris iniziò a lacrimare: «Ma che cosa vuol dire?!».
«Shhhh!! Non si preoccupi, lo sa come vanno le cose a questo punto, no?».
Il medico passò velocemente la propria mano sul quaderno stretto tra i pugni del suo interlocutore e per qualche strana diavoleria che Loris non riuscì a comprendere quelle pagine a quadretti tornarono candide.
Bianche.
Un nuovo quaderno per un nuovo paziente.
Yurei estrasse un piccolo orologio da taschino e lo portò all’altezza del viso del paziente.
«No!» esclamò Loris cercando di allontanare il dottore.
«Shhhh! È ora del nostro appuntamento!».
Loris fissò l’orologio e gli mancò il respiro: era mezzogiorno!
Tlig! Tlong!
Il piccolo pendolo oscillò e Loris si sentì strano… molle come un orologio.
Era tutto a posto, sarebbe passato prima che ricominciasse tutto.
«Scemo, scemo!» gli fece verso il dottore prima di sedersi comodamente di nuovo.
Ed ecco che… (torna alla prima pagina e continua a leggere)


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010