Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
16ª edizione - (2013)

L'attesa

Sul suo tablet, la scritta arancione lampeggiava ogni due secondi: Please wait. Attendere, prego.
Aveva atteso due anni, poteva attendere ancora due minuti. Lorenzo ripeteva a se stesso questa tiritera per vincere l’ansia che ora gli impediva di stare seduto senza digitare niente sulla tastiera. E se avesse sbagliato? Come poteva essere certo che i cambiamenti richiesti e inseriti correttamente, seguendo diligentemente la procedura, fossero giusti?
Mancava solo ora che andasse via la corrente, come ormai ogni tanto succedeva se la mamma si dimenticava di aver avviato la lavatrice e contemporaneamente accendeva il forno o il ferro da stiro… e tutto sarebbe andato a pallino.
Oppure che il pc si blindasse e perdesse la connessione… avrò inserito l’account mail giusto? Non avrei avuto il riscontro dell’inoltro, la magnifica scritta “la procedura è andata a buon fine”… Lorenzo pensava.
Continuando a guardare il monitor senza vedere gli passarono davanti in un tempo lungo un respiro, tutti i giorni in cui aveva aspettato l’uscita del concorso, cercando nella rete informazioni, la paura che avvenisse durante le vacanze al mare, senza che venisse pubblicizzato, o che contenesse clausole che ne impedissero la partecipazione. Qualche volta aveva anche sognato di scoprire che era già stato assegnato, senza che lui lo intercettasse prima.
Poi finalmente invece, un giorno tornando da scuola, aveva digitato la parola magica e si era aperta la pagina che informava della scadenza, dei requisiti di età, della lingua in cui doveva essere redatta la domanda (inglese) e i requisiti tecnici per il punteggio. Essendo ancora minorenne, doveva anche allegare il consenso firmato dei genitori. Gliene aveva già parlato, non avevano fatto tante storie, anche se in caso di vincita, i sei mesi di stage da trascorrere all’estero in una school farm tecnologica, qualche traccia di preoccupazione la lasciavano. «Ma come farai a terminare gli studi con profitto se dovrai trasferirti durante l’anno all’estero?» era stata la prima domanda della madre, che forse ne nascondeva delle altre, che ella stessa censurava.
Quel giorno Lorenzo non rispose ma sorrise per nascondere una risposta che non veniva… non sapeva neppure lui come avrebbe fatto, ma non voleva perdere l’occasione che gli sembrava la migliore della sua vita. Far parte di una squadra dei cinquanta giovani creativi di app, vedere premiata la sua creatura, vincere un premio che gli avrebbe permesso di studiare ciò che voleva e, perché nasconderlo, anche una bella somma di denaro da poter investire liberamente…
Di colpo si ricordò anche della volta in cui aveva fatto il provino nella squadra di calcio a undici, e non venne preso per esubero di calciatori nel ruolo, giacché non era un fenomeno, e della volta in cui, al campo estivo, aspettava con trepidazione la telefonata di mamma con gli esiti degli esami di terza media (in palio c’era una scommessa strappata in contropiede sull’abbonamento allo stadio se fosse stato promosso a pieni voti).
La scritta era sempre lì grigia, sembrava blindato, ma non osava toccarlo; cominciò a sentirsi un po’ accaldato, e forse anche un po’ sfigato: doveva forse digitare più lentamente, farlo in una fascia oraria in cui poteva avere più tempo e non a ridosso degli allenamenti a cui doveva essere puntuale, ma poi ancora sentiva salire il desiderio di fare quel lavoro lì, l’unico per cui sentiva di voler dedicare ore del suo tempo, e sforzi della sua mente.
Si ricordò del rito di concentrazione, quel modo tutto suo di estraniarsi dal mondo circostante, quasi allontanando amici e compagni, in cui fare sintesi di sé, per prepararsi alla gara, alla prova: tutte le volte che c’era riuscito, che non era stato sorteggiato per primo, che aveva avuto il tempo per farlo, era riuscito a radunare nervi e pensieri e quel che ti arriva da dentro, che non sai cos’è, ma che ti aiuta a dare ciò che sai. Il trucco per Lorenzo era non fermarsi, fare tutto di un fiato per non perdere il filo.
E anche adesso voleva fare tutto di un fiato, ma il tempo non era il suo, lui non poteva niente, doveva solo aspettare. E aspettare, avere pazienza era una cosa davvero difficile per lui, sin da quando era nato tre settimane prima perché già stanco di stare fermo in uno spazio ristretto. Lui era veloce, rapido, spesso per questo non tanto preciso, ma capace di organizzarsi velocemente, adrenalina a manetta.
Please wait
Poi una pagina vuota e la scritta “procedura avvenuta con successo”.
Tirò un sospiro di sollievo e si appoggiò allo schienale.
Almeno questa era fatta.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010