Analisi di Éowyn
Splendido il suo volto e i lunghi capelli pari a un fiume d’oro. Era bianca ed esile nella candida veste cinta d’argento; ma pareva forte e severa come acciaio.
È sull’onda di queste parole che Éowyn Dama di Rohan fa il suo ingresso nel romanzo di Tolkien ,e da questo momento vi entra, per non uscirvi più. Fa la sua comparsa quando i pezzi sulla scacchiera si stanno ancora allineando, in vista della guerra. Esce di scena, in vista della pace, quando la battaglia è finita, vinta, e sul campo dei due è rimasto un solo colore: il Bianco. Fra questi due avvenimenti però, nello spazio fra la guerra e la pace, Éowyn rimane lo stesso personaggio?
Iniziamo subito col fare una precisazione: dei tre personaggi femminili presenti nella saga (Éowyn, Arwen, Galadriel) Éowyn è la più attiva, la più direttamente coinvolta (anche in termini di vicinanza spaziale) negli eventi decisivi per l’esito della storia. Infine e soprattutto, fra le tre è Éowyn il personaggio che cambia, che matura a livello fisico e caratteriale.
Arwen è lontana. Arwen è statica. La Dama di Granburrone rimane a Granburrone, lontana dall’Occhio di Sauron. Quando la scena si sposta da Imladris, lei cessa di apparire fisicamente su di essa. Rientra in scena a Minas Tirith, quando la guerra è finita e la battaglia è vinta, compiendo il suo unico spostamento nel corso della storia. Per tutto il resto della vicenda, il suo personaggio è una figura di sfondo, che compare a tratti, evocata nella mente di Aragorn, per poche righe. La sua scelta è il più importante segno d’amore presente nel romanzo. È una scelta difficile, combattuta, nella quale però Arwen trova il suo scopo nella vita e il suo ruolo come donna, raggiungendo così la maturità come persona. Non vogliamo sminuire la portata del suo gesto, ma dobbiamo riconoscere che esso acquisisce valore e importanza non perché è compiuto da lei ma perché è in relazione ad Aragorn e ne determina le azioni future. Arwen stessa, nella gran parte della storia, non appare fisicamente, bensì idealmente, richiamata da parte di Aragorn. Il suo personaggio è quindi importante solo perché è in relazione (non solo letterariamente parlando) con Aragorn.
Galadriel è alta (non solo di statura). Galadriel è distaccata. All’interno della storia presenta sia caratteristiche simili a quelle di Arwen sia comportamenti assolutamente suoi e indipendenti. Come Arwen, la Dama del Bosco è statica, si muove poco. Quando l’Anello si sposta da Lorìen anche lei diventa una figura di sfondo nella panoramica delle vicende. Eppure, diversamente dalla Dama di Granburrone, Galadriel quando viene menzionata è trattata con grande reverenza e attenzione. Questo per due motivi: innanzitutto perché Galadriel è una dei più potenti e antichi signori elfici, che siano ancora presenti nella Terra di Mezzo. È viva fin dalla Creazione e fa parte di una delle più grandi dinastie degli Elfi. In secondo luogo perché Galadriel è munita di grandissimi poteri magici, ma soprattutto possiede il potere della preveggenza che le permette di essere sempre due passi avanti rispetto agli altri, infine, la sua esperienza la rende saggia oltre ogni immaginazione. Forte di tutto ciò, Galadriel gioca un ruolo importantissimo nella lotta contro Sauron, insieme a Elrond e Gandalf è una sorta di stratega e per questo motivo la sua presenza nella storia è maggiore e il suo personaggio ha più valore di quanto non abbia quello di Arwen. Galadriel è molto influente. Il suo intervento, più volte nel corso della storia, è determinante; ma è sempre indiretto. Viene dall’alto. Sì, perché come abbiamo detto Galadriel è uno stratega e gli strateghi non agiscono mai direttamente nel folto della battaglia, ma coordinano le azioni degli altri, manovrano e danno disposizioni dalle retrovie, senza mai mettersi in gioco in prima persona. E la Dama del Bosco è così, avvalendosi dei suoi poteri, ha una visione d’insieme degli avvenimenti e, con piccoli e rapidi tocchi sapientemente disposti, è in grado di modificarne il corso. Tuttavia, perfettamente cosciente del suo potere (immenso) e del suo ruolo (elevato) Galadriel tiene in ogni cosa un comportamento altero. Cammina, come se fosse sulla cima delle nuvole, di quando in quando getta uno sguardo, dall’alto verso il basso, alle vicende terrene, che ormai non le interessano. È nel mondo da migliaia di anni, il suo pensiero è ormai rivolto ad altro. Tutto in lei comunica distacco. Un freddo, incolmabile distacco che come abisso separa la Dama del bosco da chiunque altro.
Abbiamo dato uno sguardo alle due Dame elfiche, parliamo ora dell’ultima Dama, quella di Rohan: Éowyn figlia di Théodwyn.
Delle tre, la Principessa dei Mark è l’ultima ad affacciarsi sulla scena, ma a differenza loro, lei non sarà un personaggio intermittente. La Dama di Granburrone e quella del Bosco appaiono verso la fine de La Compagnia dell’Anello e rifaranno la loro comparsa solo a guerra vinta, quando la Città Bianca è liberata e il mondo è sicuro. Éowyn invece, entra in scena ne Le due Torri e ci rimane fino alla fine. Cavalca verso la morte, combatte contro gli Orchi, libera Minas Tirith, salva il suo re Théoden, uccide il Signore dei Nazgûl, passa giorni in agonia fra la vita e la morte, trova l’amore di Faramir e presenzia all’incoronazione di Aragorn alla fine della storia. Nel corso di tutte queste vicende, che vanno quasi a costituire una saga personale, Éowyn si dimostra un personaggio dinamico, in movimento e in crescita sia a livello fisico che come persona.
Tutto ha inizio quando Aragorn con Gandalf e gli altri arriva al Palazzo d’Oro di Rohan. Vede in cima alla scalinata una ragazza dalle bianche vesti mosse dal vento, descritta con i versi che si leggono all’inizio di questo testo: Era bianca ed esile […] ma pareva forte e severa come acciaio, una figlia di re. Così Aragorn mirò per la prima volta alla luce del giorno Éowyn, Dama di Rohan, e la trovò bella, bella e fredda, come una mattina di pallida primavera, e non ancora maturata in donna. Quando fa la sua comparsa Éowyn ha 24 anni ed è una ragazza che, come dicono i versi, non è ancora giunta a completa maturità. Lei e Éomer, suo fratello, hanno vissuto a lungo a corte vedendo il Re, loro zio, diventare vecchio e incapace anzitempo a causa del malvagio influsso del suo consigliere Grìma Vermilinguo e percependo l’oscurità invadere sempre più la loro casa. Tuttavia i due fratelli reagiscono in maniera diversa al male che striscia nella reggia. Éomer, essendo spesso fuori in guerra, non può rendersi conto se non alla fine, di quanto il pericolo sia all’interno della corte e quindi, scacciando ripetutamente i nemici di Rohan, crede di migliorare a ogni vittoria la situazione del suo Re. Éowyn invece, restando sempre a corte senza uscire mai dal Palazzo d’Oro, capisce perfettamente che è Grìma e i suoi viscidi sussurri, il responsabile dell’invecchiamento precoce del Re. Tenta di reagire richiamando suo zio dal cupo mondo onirico in cui è caduto, ma non ci riesce. In poco tempo e con adatte parole Vermilinguo si è impadronito della mente del Re, privandolo della sua volontà in favore del suo signore Saruman. Così Éowyn giorno dopo giorno, anno dopo anno, vede suo zio, che ama come un padre, diventare sempre più un ignobile fantoccio nelle mani di Grìma, che ormai di fatto comanda a corte. E intanto l’oscurità cresce, si spande nella ampie sale di legno della reggia, si aggira sibilando fra le colonne. Ed Éowyn è costretta a viverci dentro, senza mai poter uscire. Sola, completamente sola, un fratello lontano, uno zio ormai incapace di intendere, di volere e perfino di riconoscere i volti dei cari, e un uomo ripugnante che la segue con lo sguardo altrettanto aberrante. È chiaro che dopo poco tempo, per lei la casa si fa una buia prigione senza via d’uscita. Mentre Éomer è libero di vagare, cavalcare, combattere e può vantare grandi imprese e vittorie che vanno a ingrandire il nome suo e di Rohan, Éowyn, che dimostrerà di non avere un cuore meno nobile e coraggioso, è chiusa, prigioniera, sola in un Palazzo oscuro, divorata dal rammarico di non poter fare nulla per il suo Re e di non poter nemmeno uscire libera e serena. Importantissime sono le parole di Aragorn nelle Case di Guarigione: era destinata a servire un vegliardo, che amava come un padre, e a vederlo crollare in una stoltezza meschina e disonorevole; il suo ruolo le sembrava più ignobile di quello del bastone su cui il re si appoggiava […] Chissà quali parole pronunciava, sola, nell’oscurità, durante le amare veglie, quando tutta la sua vita sembrava rimpicciolirsi e le mura della sua stanza parevano chiudersi intorno a lei come una gabbia che intrappola una bestia selvaggia?.
L’arrivo di Aragorn, per Éowyn, nel suo cuore di fanciulla, desta antiche passioni e dà libero sfogo a desideri mai sopiti di gloria e imprese eroiche. Sull’onda di questi sentimenti, lei si innamora fin da subito del Grande Ramingo più che per il suo bell’aspetto (certo, anche per quello!) perché vede in lui una possibilità di riscatto, una via d’uscita dalla prigione in cui finora era stata costretta. Tuttavia l’erede di Isildur, forte della sua esperienza umana, capisce quali sono i reali sentimenti della Dama e a testimonianza di ciò dirà a Éomer nel libro: di me ama soltanto un’ombra. È Faramir, alle Case di Guarigione a chiarire meglio l’amore che provava la Dama di Rohan per il grande Ramingo: esso non è amore bensì ammirazione e desiderio di riscatto da una vita finora ignobile, indegna del suo cuore coraggioso e indomito: Desideravi l’amore di Sire Aragorn. Perché egli era grande e potente, e tu ambivi la fama, la gloria: volevi essere innalzata sopra le cose meschine che strisciano sulla terra.
Sì, perché il desiderio recondito e forse inconsapevole di Éowyn è proprio questo: redimersi dalla vita ignobile e oscura condotta finora andando in guerra, e compiendovi azioni gloriose degne del suo cuore e del suo rango, con cui conseguire fama immortale (cui essa fra l’altro anela). Quando Aragorn è costretto dalle sue insistenze a metterla di fronte al fatto compiuto, il suo desiderio non si affievolisce, anzi, si fa ancora più estremo: andare in guerra e trovare la morte, una morte valorosa e gloriosa in battaglia, attraverso la quale conseguire fama immortale eccetera, eccetera (il fine ultimo è sempre quello). Così ormai, resa cieca dal suo orgoglio che crede ferito a seguito del rifiuto di Aragorn e dal suo desiderio di una vita eroica, che ora più che mai vede a un passo dal realizzarsi, disobbedisce all’ordine del suo Re, che le comanda di governare il regno in sua assenza (ancora chiusa a Edoras o Dunclivo che sia), e cavalca sotto le mentite spoglie di Dernhelm nell’armata dei Rohirrim. La frase da lei pronunciata: Dove vi è volontà, nulla è impossibile è emblematica di questo momento e per di più Éowyn aggiungendovi: E ho potuto constatarlo personalmente dà una chiara presentazione del suo stato d’animo. Cavalca fino a Minas Tirith, combatte valorosamente, uccide il Signore dei Nazgûl difendendo il corpo del suo Re, ma in quest’ultimo eroico combattimento rimane gravemente ferita nel corpo e nello spirito. Così in stato di incoscienza viene portata alle Case di Guarigione della Città Bianca dove trascorre un po’ di giorni in una sorta di coma. Uscita dallo stato di deliquio in cui si trovava Éowyn non ha ancora deposto le sue velleità giovanili di morte eroica e fama immortale. Le desidera ancora, ma dalle sue parole, ora che ha quasi sperimentato l’una e guadagnato l’altra, sembra aver capito che non fanno per lei. Nelle sue parole, quando le rivendica, sembra di intravedere, per la prima volta, il dubbio. Non è più il caparbio desiderio della ragazza che è partita da Rohan, ora è il triste rimpianto di una giovane donna che fatica a trovare la sua strada. In cuor suo desidera ancora gloria militare e grandi imprese, ma con rammarico, ora, constata che non sono per lei. A riprova di ciò si trovano numerose parole della Dama rivolte, ora al Custode delle Case, ora a Faramir. Al Custode dice, una volta guarita dal male: E non è sempre una cosa buona guarire nel corpo. Come non è sempre amara la morte in battaglia, anche fra atroci sofferenze. Se mi fosse permesso, in quest’ora cupa non esiterei a sceglierla. Al Sovrintendente della città dice la medesima cosa ma con toni ancora più forti: Non sono capace di vivere nell’inerzia, nella pigrizia, in gabbia. Desideravo la morte in battaglia . Ma io non sono morta, e la battaglia continua. Inizia da qui, tuttavia, un ciclo di conversazioni fra Éowyn e Faramir, durante la quale la Dama ripeterà spesso queste cose, ma con toni sempre più deboli e Tolkien ogni volta metterà in luce aspetti di cambiamento in lei come: E il suo pallido viso si colorì oppure: Credette di vedere qualcosa intenerirsi in lei, come se il duro ghiaccio cedesse a un vago presagio di primavera e ancora: e vi era dolcezza nei suoi occhi. Con Faramir si apre in Éowyn un processo di maturazione in donna che culminerà con la dichiarazione d’amore dell’uomo alla Dama. Sulle prime Éowyn pensa che quella del Sovrintendente sia solo una manifestazione di pietà (da lei assolutamente rifiutata) ma poi, quando si accorge che il suo è vero amore, cede e trova la sua strada nella vita, piena maturità, e infine il suo autentico e agognato riscatto. Il dialogo è emblematico ed è ciò con cui quest’analisi si chiude: Non deridere la pietà, dono di un cuore gentile, Éowyn! Ma io non ti offro la mia pietà, perché sei una dama nobile e valorosa e hai conquistato da sola fama e gloria che non saranno obliate; e sei una dama tanto bella che nemmeno le parole dell’idioma elfico potrebbero descriverti. E io ti amo […] Allora il cuore di Éowyn cambiò a un tratto, e fu ella finalmente a comprenderlo; e improvvisamente il suo inverno scomparve, e il sole brillò in lei. […] ella disse: «l’Ombra è scomparsa! Non sarò più una fanciulla d’arme, né rivaleggerò con i grandi Cavalieri, né amerò soltanto i canti che narrano di uccisioni. Sarò una guaritrice, e amerò tutto ciò che cresce e non è arido […] Non desidero più essere una regina».
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