Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Didone, mia sorella

Era la mia unica sorella, l’unico sostegno che mi era rimasto e adesso non c’è più. L’amore, ciò che di più bello dovrebbe esserci a questo mondo, me l’ha portata via con un soffio di vento.
La sua vita è stata piena di dolore: la morte del padre, l’uccisione dell’amato marito e la fuga dal fratello assassino. Ciò che l’ha segnata più di tutto, però, è stato un troiano di nome Enea, che le ha fatto comprendere, purtroppo, quanto amore e morte possano essere collegati.
Era ancora in costruzione il tempio di Giunone e Didone, in quel soleggiato pomeriggio, si stava momentaneamente riposando dagli impegni regali, passeggiando nel giardino del palazzo, all’ombra di alcuni alberi. Improvvisamente, quasi fosse stata una divinità a metterle in mente quell’idea, si avvicinò a me, mentre ero intenta a cucire, ed esclamò: «Dobbiamo subito andare a controllare come procede la costruzione del tempio: forza Anna, presto!».
Lasciai il mio lavoro di cucito sul muretto e la raggiunsi di corsa.
Presto arrivammo al cantiere e il nostro arrivo fu seguito, di lì a poco, dalla venuta di alcuni stranieri che camminavano nella nostra direzione. Arrivati vicino alla regina, Enea, il capo di questi, che fino ad allora era stato coperto da una nube di fitta nebbiolina, si rivelò a noi, chiedendo ospitalità.
La sera stessa, mentre il troiano raccontava in lacrime la tragica caduta della sua amata città, si accese negli occhi di Didone una fiamma viva, che le avevo visto solo quando era in compagnia di suo marito Sicheo.
Pochi giorni dopo, durante una battuta di caccia alla quale parteciparono anche Enea e Didone, scoppiò un grande temporale, di quelli che si vedono raramente. Oh, ricordo ancora l’espressione di mia sorella quando, al ritorno da questa, me la raccontò: si erano rifugiati insieme in una grotta per ripararsi dalla pioggia che non dava segno di voler smettere e in quella si erano rivelati il reciproco amore, suggellandolo con un’unione sponsale.
Enea rimase a palazzo per circa un anno, durante il quale, vedendo Didone così felice, sperai che quell’idilliaca situazione non finisse mai, che lui potesse mettere la parola fine alle sofferenze di mia sorella. Purtroppo, però, ciò che portò quell’uomo fu anche la morte di colei che lo amava così appassionatamente!
Didone, poco tempo prima di cedere a quell’amore per Enea, mi aveva chiesto consiglio, rivelandomi il suo timore di profanare il giuramento di fedeltà fatto alle ceneri dell’amato Sicheo. Penso che non riuscirò mai a perdonarmi per quanto le dissi. Le ripetei più di una volta: «Sorella cara, non è uno sbaglio, l’amore non è mai uno sbaglio».
E invece avevo torto: se non le avessi detto che con lui avrebbe potuto provare la gioia di un figlio, sentire ancora l’amore e la protezione di un uomo, sperare anche nel rafforzamento della grandezza di Cartagine, forse adesso sarebbe ancora vicino a me e non dovrei essere io ora la regina della sua città…
D’un tratto quell’amore che sembrava dovesse durare per sempre ed essere uno dei più belli e intensi mai ricordati dalla storia, svanì da un giorno all’altro. Enea infatti di nascosto chiamò a sé i suoi compagni e si prepararono a lasciare i nostri lidi che li avevano accolti come figli.
La povera Didone, da donna innamorata cui nulla sfugge dell’amato, si accorse presto che qualcosa nel suo comportamento era cambiato. Solo allora quel perfido senza cuore le disse dell’ordine di Giove di partire da Cartagine e di seguire i voleri del Fato, raggiungendo i lidi del Tevere. Ella corse da me in lacrime pregandomi di andare da lui per convincerlo a restare, perché lei non ci era riuscita e le sue suppliche riguardo al loro amore, alla paura degli ostili vicini di Cartagine e al desiderio di avere almeno un figlio da lui non avevano ottenuto alcun effetto e nemmeno un segno di sincero dolore da quello che tutti chiamano il pio Enea!
Mentre Didone guardava attonita le navi troiane in procinto di salpare, corsi da Enea chiedendogli in ginocchio di cambiare idea o almeno di aspettare i venti propizi per la navigazione, che sarebbero arrivati in pochi giorni, ma lui rimase impassibile come una quercia secolare colpita da flebili venti.
Tornata a palazzo, Didone venne da me asciugandosi le ultime lacrime che le bagnavano il viso e mi disse che aveva consultato una maga. Ella le aveva assicurato che le sue sofferenze sarebbero cessate se avesse fatto una pira con tutti gli oggetti che aveva lasciato il troiano o che glielo facevano tornare alla mente.
Non potendo immaginare le sue vere intenzioni, aiutai la nostra nutrice a prendere tutto ciò che sarebbe stato necessario per compiere un sacrificio in onore di Giove.
Ella però nascondeva un intento crudele: prese la spada di Enea, decisa a raggiungere quel mondo dove non si soffre.
Non so esprimere a parole cosa provai, quando la vidi lì, riversa a terra nel suo sangue, mentre esalava i suoi ultimi respiri. Mi precipitai sul rogo non ancora acceso e la presi tra le mie braccia; mi rivolse il suo estremo sguardo con gli occhi socchiusi e lasciò cadere agonizzante la testa sul mio petto.
Non c’è un secondo in cui non pensi a lei o non mi manchi… La sua tragica storia m’interroga. Vale la pena amare così, fino a morire per amore?
Sto ancora cercando la risposta…
Se Didone dal freddo Ade mi potesse parlare, forse mi direbbe che sì, vale la pena amare così, ma solo se un dolce Sicheo ti aspetta fedele nel regno delle ombre.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010