Ellie
Ci sono due lei: una precedente, l’altra generata dalla morte della prima.
La chiama la maledizione della ‘G’. Tutte le persone con nome iniziante con la lettera ‘G’ sono destinate a farla soffrire; proprio a causa loro Eleonora morì, e nacque Ellie.
Eleonora era la piccola ragazzina che credeva nell’amore, nelle persone, in quello che le veniva detto, nella speranza. Se qualcuno le diceva ti amo, lei ci credeva; se le veniva detto sei importante, lei se ne convinceva. Era così: leggera, bambina, indifesa, a volte se vogliamo ingenua.
Poi iniziarono le ‘G’.
Ci fu la prima, Gabriele. La prima cotta… Eleonora era persa di lui, si tormentava, sospirava, credeva di essersi innamorata. A lui diede il primo bacio: in oratorio, in una stanza in cui nessuno poteva vederli; lei aveva 13 anni, lui 15. La povera piccola era così felice quando lui le chiese di diventare la sua ragazza; accettò, ovviamente. Durò poco. Dopo due settimane, il giorno di Natale, lui disse che aveva trovato un’altra ragazza. Tuttavia lei non pianse mai per lui: era come se il dolore fosse rimasto incastrato, non poteva essere semplicemente sfogato attraverso le lacrime.
Grazie a quella ‘G’ Eleonora perse la fiducia nelle persone.
Come aveva potuto trattarla così? La ragazza non riusciva più a contare su nessuno.
Ci fu la seconda, Germain. Eleonora dopo la prima ‘G’ si era fidanzata con un ragazzo a cui restò legata per poco più di un anno e mezzo: lui la amava, o così diceva, ma la faceva soffrire. Lei piangeva, a lui non importava. Mentre era ancora legata a lui, Eleonora conobbe Germain: ragazzo francese, di colore. La capiva. La faceva ridere, parlare, scherzare, giocare. Era amico, amante, fratello, padre, quel padre che Eleonora non aveva mai sentito davvero di avere. Lei se ne innamorò, perdutamente. Paradossalmente tra i due non c’era stato neanche un bacio: solo sguardi, carezze, parole, ma tutto ciò aveva per lei più importanza di tutti i baci del mondo. Non le importava della pelle scura, non le importava dei pregiudizi che la gente avrebbe potuto avere, non le importava della distanza, non le importava di essere fidanzata, le importava lui.
Lui iniziò poi a metterla in un angolo: c’era la distanza, è vero. La seconda ‘G’ diceva di fare quel che poteva, ma non riusciva a fare più di così. Lei allora, piena d’amore e di speranza com’era, partì. Tornò dove si erano innamorati. Tornò per lui, anche se cercava di nasconderlo; riuscì a nasconderlo agli altri, ma non a sé stessa: come si può nascondere a sé stessi una così grande verità?
Tuttavia, lui era in vacanza e tornò esattamente sette ore dopo che la ragazza era ripartita per Milano: i due non si rividero, e Eleonora iniziava lentamente a morire. Deperiva, poco a poco, come se le fosse stato tolto il nutrimento. Un’altra volta, non riusciva a piangere: la massa di dolore lasciata da Gabriele crebbe senza che la ragazza riuscisse a sfogarla. E nel momento in cui Eleonora iniziò a deperire, Ellie veniva concepita proprio grazie a quel dolore che la madre aveva dentro.
Per provare a dimenticare, Eleonora, nei suoi ultimi mesi, buttò alle spalle il ricordo di Germain. Vide altri ragazzi, pensò ad altro, si distrasse.
Grazie alla seconda ‘G’ Eleonora smise di credere nell’amore.
Se questa era la sofferenza portata dall’amore, a quanta sofferenza poteva portare l’odio? Non voleva soffrire, quindi smise di amare e di odiare.
Improvvisamente, arrivò la terza ‘G’, la meno attesa, la meno aspettata. Giacomo.
In tutti i cambiamenti che sconvolsero Eleonora in quel periodo, lui era rimasto. Costante, uno scoglio nell’oceano in tempesta. Era pian piano diventato il suo migliore amico, facendo a gomitate per prendersi il proprio spazio nel cuore della ragazza. Se n’era preso tanto, c’è da dire. Talmente tanto che quando lui smise di parlarle senza dare spiegazioni, Eleonora non ce la fece: era troppo per lei, già provata da altre due enormi perdite. Perse anche la fiducia in ciò che le veniva detto.
Come aveva potuto lui illuderla in quel modo, facendole credere di essere importante quando in realtà non era niente? Ormai quando qualcuno le diceva anche solo ti voglio bene, lei lo guardava con diffidenza, sicura della bugia dietro a quelle parole.
La massa di dolore ormai occupava il posto in cui una volta batteva il cuore di Eleonora. Si arrivò alla resa dei conti. Ellie scalpitava, doveva uscire, mostrarsi. Era come se Eleonora fosse stata gravida di Ellie da tanto tempo, all’inizio senza saperlo; ora era il momento del parto, anche se si rendeva perfettamente conto che loro due non potevano coesistere. Come ultimo gesto, sentì di dover rendere effettivo il cambiamento, visibile, doveva fare qualcosa. Così la piccola si fece da parte facendo una cosa di per sé banale, quasi prevedibile: andò a tagliarsi i capelli. Quei capelli lunghi, amore di un suo amore, caddero ciocca per ciocca; mentre ciò accadeva, Eleonora moriva, mentre Ellie nasceva. Fu un travaglio difficile, ma quando ciò che si può definire la figlia del dolore uscì da quel negozio e inspirò l’aria esterna, si sentì felice, come inebriata dalla bellezza di essere appena nata e viva più che mai.
Il tempo passò, e Ellie cresceva. Cresceva disillusa e perfettamente in grado di gestire sentimenti di qualsiasi tipo: li uccideva sul nascere, non voleva venire a contatto con niente di tutto quello che avrebbe potuto ferirla: cosciente dell’esperienza di sua madre respingeva le emozioni. Scivolò in una specie di confortante e tiepida apatia che durò molti mesi.
Tuttavia era una ragazza intelligente; sapeva che non avrebbe potuto reprimere ogni sensazione, così decise di incanalarle in tutto ciò che poteva essere produttivo o utile a se stessa: non si considerava né egoista né egocentrica, solo aveva imparato a mettersi davanti a tutto visto che con il mettersi in secondo piano Eleonora si era solo fatta del male. Ellie amava leggere, pensava, scriveva poesie. Una volta all’università avrebbe voluto studiare filosofia.
Una sera accadde, però, ciò che temeva di più al mondo: incontrò un ragazzo; simpatico, pensò all’inizio. Iniziarono a uscire, e Ellie ci si affezionò molto, molto più di quanto non volesse.
Non appena se ne rese conto cercò disperatamente una dimostrazione del contrario: non poteva accettare che le cose andassero in maniera diversa da come le aveva programmate, non dopo tutti gli sforzi che aveva fatto nell’incanalare le emozioni. E, come se ciò non bastasse, il ricordo dell’ormai defunta Eleonora si presentava nella mente di Ellie ogni qual volta lei pensava all’affetto che provava verso questo ragazzo. Si ricordava la massa di dolore non sfogata che l’aveva generata e la temeva, sapeva che se si fosse formata anche in lei l’avrebbe uccisa come aveva fatto con Eleonora. Ellie decise che non sarebbe finita come lei. L’occasione della dimostrazione si presentò e ovviamente venne colta: baciò un altro. Nonostante ciò, la dimostrazione che doveva rincuorare Ellie dimostrò invece che le sue preoccupazioni sarebbero solo aumentate. Non solo si rese conto di tenere al ragazzo con cui si frequentava da ormai due mesi, ma realizzò di esserne innamorata.
Passò giorni d’inferno. Lei non voleva tutto questo, non l’aveva mai chiesto. Aveva paura, terrore folle di ricominciare a soffrire. Temeva la sola più piccola ombra di sofferenza, sentiva montare il panico ogni volta che ripensava alla situazione in cui si trovava e quella in cui rischiava di finire.
Ripudiava ogni cosa che avrebbe potuto toccare o anche solo sfiorare la sua imperturbabilità.
La svolta arrivò un sabato pomeriggio. Il ragazzo le disse ciò che lei agognava e temeva di sentire: le disse due parole, all’apparenza semplici, innocenti; le disse ti amo.
Lui aveva visto la sua parte peggiore e l’aveva accettata. Non gli era importato di nulla: non gli era importato del fatto che lei fosse una persona a volte difficile, non gli era importato che lei lo avesse tradito, non gli era importato della fragilità che nel profondo Ellie sapeva di avere, non gli era importato d’altro se non di lei. Per una volta lei era stata qualcosa per qualcuno, ma non qualcosa di irrilevante, era stata qualcosa di fondamentale.
A questo pensiero tutto successe da sé: fiumi di parole per provare a spiegarsi, fiumi di io non ti lascio, fiumi di tutte quelle emozioni che Ellie aveva tenuto ermeticamente segregate in lei per molto, forse troppo tempo.
Il giorno dopo lei andò a casa sua. Sentì amore.
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