Un’esperienza di lettura al femminile
«Sara, dove sei finita?»
Metto la testa fuori dalla camera in cui mi trovo, nella casa dei miei nonni, verso il corridoio.
«Sono qui, nonna, dimmi».
Mi avvicino a lei, che con le braccia cariche di lenzuola da stendere si avvicina a me.
«Per favore, tesoro, dammi una mano con queste, che ormai non riesco più a farcela da sola».
La aiuto in silenzio, e infine le chiedo: «Nonna?».
«Dimmi, tesoro».
«Non è che mi daresti la chiave del tuo armadio?» chiedo, con un’espressione innocente e (almeno spero) persuasiva in viso.
Mia nonna mi scruta attraverso gli occhiali, fingendo un’indecisione che in realtà non prova, perché come potrebbe negare qualcosa alla sua nipote preferita?
Poi mi sorride e tira fuori dalla tasca una chiave.
«Tieni, e divertiti» mi dice.
Non me lo faccio dire due volte.
Mi dirigo, anzi mi precipito nella camera sua e di mio nonno, e impaziente apro le ante di vetro dell’armadio. Poi mi fermo. Guardo davanti a me, e con calma tiro fuori uno dei tanti volumi, uno a caso, tra quelli che si trovano chiusi lì. So bene quanto devo starci attenta, quanto amore prova mia nonna per quell’armadio e il suo contenuto, ma soprattutto per ciò che esso rappresenta.
È la storia di una vita. Della sua vita.
Ma in fondo è anche la mia storia; la sua è solo due capitoli prima, appartiene sempre allo stesso libro.
Apro con cautela le pagine dell’album fotografico, e guardo la data e il luogo scritti sulla prima pagina con una calligrafia elegante e sottile che riconosco essere quella di mia nonna.
1969 - Kenya
Giro la prima pagina e trovo il riassunto di quelle vacanze fatto da mia nonna e mio nonno, in un alternarsi di calligrafie. Comincio sfogliarlo, incantata fin dalla prima foto che vedo.
Si erano fermati solo 6 giorni in Kenya; due, il primo e l’ultimo, li avevano spesi tra l’aeroporto di Nairobi e il viaggio verso la riserva, in cui avevano trascorso il tempo restante.
La prima foto, scattata all’arrivo nell’area protetta, ritrae la savana, una distesa immensa che si apre davanti all’uomo che, piccolo piccolo, cerca di catturarne la grandezza con un’immagine. Ma come la nonna mi ha raccontato, niente potrà mai rendere la sensazione di libertà e di spazio che regala la savana, la sensazione che davanti a te, per quanto tu possa camminare, ci siano solo il vuoto e l’avventura ad attenderti.
Provo a immaginarlo, provo a immaginare il niente (niente pali del telefono, case, tram, persone e cemento), ma mi è incomprensibile, addirittura inconcepibile, un mondo così. Solo terra, terra, arbusti e alberi.
Vorrei fermarmi a contemplare ancora quella foto, ma la curiosità mi spinge verso le seguenti, mentre un racconto, fatto tempo prima da mia nonna su quel viaggio, mi torna in mente.
Appena arrivati, erano stati salutati dai padroni di casa che, gentilissimi, si erano rivolti a loro in un misto di swahili e inglese, incomprensibile per i nonni, ma ovviamente comprensibile per la guida. La casa (in realtà quasi una villa coloniale), illustrata in una seconda foto, era meravigliosa: piena di tappeti, aperta e luminosa, in perfetta armonia con la terra che la circondava.
Per il giorno dopo, avevano programmato un viaggio in jeep, meta una polla d’acqua dove sono soliti abbeverarsi molti animali. Si erano fermati lì vicino e arrampicati su una specie di “casetta sull'albero” costruita appositamente per osservare gli animali senza disturbarli o scatenarne l’ira; alla nonna era sembrato impossibile che un posto del genere esistesse nella realtà.
Realtà… nella mia realtà, non ci crederei se non avessi le foto come prova: il massimo della savana che io ho potuto vedere sono le immagini del cartone Il re leone. Nella sua realtà, la savana prendeva vita davanti ai suoi occhi.
Fotografie anche un po’ ironiche, scattate dal nonno probabilmente, ritraggono lei che si industria per trovare un modo di salire sulla casa. Il nonno, da grande spiritoso che è, non ha potuto fare a meno di prenderla in giro aggiungendo a margine un commento ironico sulla sua carriera mancata come scalatrice. Ma al contrario di lui, la nonna non ride in nessuna delle foto: l’emozione è troppo grande per permetterle di ridere, posso vederlo dall’espressione concentrata e rapita sul suo viso, in cui tutta la sua attenzione è diretta sugli animali. Ricordo ancora quant’era toccata la nonna mentre me lo raccontava, quarant’anni dopo il viaggio: aveva negli occhi quello sguardo di chi ha visto tante cose belle ma anche tante cose negative; lo sguardo di chi ha visto la vita e la natura prendersi il loro tributo, lo sguardo di chi ha perso tante cose e tante persone care, per effetto della guerra e del tempo, che però è anche lo sguardo di chi ha, sul suo cammino, trovato anche sorprese e doni che non aveva previsto… quello sguardo da madre amorevole di chi ha compreso lo scorrere della vita, e ha accettato una parte ineluttabile di essa: la morte.
Proprio quel giorno, vedono un rinoceronte attaccare e uccidere un’antilope. Non possono fare nulla, e anche se potessero, non sarebbe giusto farlo, possono solo accettare.
Le foto dei giorni seguenti ritraggono coccodrilli, ippopotami, elefanti, e anche mia nonna che, dominata la paura e il disgusto per i serpenti, ne tiene uno avvolto intorno alle braccia; laghi e polle d’acqua meravigliosi, scene di terra arida e desolata senza alcuna traccia di vegetazione, ma anche gli abitanti di quella terra, i luoghi in cui vivono, scatti che cercano di catturare l’impossibile, il loro modo di muoversi o di inseguire la preda mentre cacciano, immagini rubate a un mondo meraviglioso che è rimasto dentro il cuore di quei due suoi visitatori.
È da quand’ero bambina che sogno, sogno di compiere viaggi meravigliosi in tutti i paesi del mondo in compagnia di mia nonna. Nel tempo, il mio sogno ha dovuto ridimensionarsi con la comprensione del fatto che lei non potrà più fare dei viaggi così lunghi e faticosi, non ce la farebbe. Ma dentro mi è rimasta quella smania di viaggiare, come fosse un tributo a lei, a tutto quello che ha fatto e visto e sentito e vissuto; al coraggio dimostrato nel viaggiare in posti nuovi, di cui non conosceva la lingua, in cui si è ammalata o in cui ha addirittura rischiato la vita, ma di fronte ai quali, come una vera eroina, non si è mai tirata indietro, per la sua grande voglia di fare e sentire e vedere e vivere…
So che di storie così ce ne sarebbero tante da raccontare, una vita intera di storie; allo stesso tempo, però, so che nessuna foto o diario di un avvenimento può eguagliare un racconto fatto in prima persona.
È per questo motivo che, gettata un’occhiata all’armadio chiuso di fretta, mi precipito in cucina, dalla protagonista di quelle avventure, mia nonna, sperando di vedere ancora una volta, magari davanti a una tazza di tè, i suoi occhi illuminarsi mentre mi racconta una delle sue avventure…
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