Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
15ª edizione - (2012)

Danse à la ville

Maggio 1943, Parigi

«Mamma, siamo arrivati!»
«Ah finalmente! Ma petite Sophie! Dai un bacio alla tua nonna!»
«Nonna! Ormai non sono più tanto piccola, ho sedici anni! Hai preparato la torta alle mele?»
«Tranquilla cara, è ancora in forno, così la mangiamo calda.»
«Mamma, ti posso lasciare Sophie un paio d’ore? Mi sono completamente dimenticata di dovere andare a prendere Daniel a scuola e a fare la spesa…»
«Certo, Hélène, lasciamela quanto vuoi!»
«Perfetto! Tesoro, arrivo fra un paio d’ore, fai la brava con la nonna, capito?»
«Sì, mamma, a dopo.»
«Ecco, tieni Sophie, la tua torta; vuoi del limone nel tè?»
«No, grazie. Nonna Roseline?»
«Dimmi, cara.»
«Mi racconti la storia del quadro? Ora sono abbastanza grande da sentirla!»
«Hai ragione. Sei pronta?»
«Prontissima!»

«Era il 27 maggio 1883; era quasi estate ma dopo le cinque del pomeriggio soffiava sempre una brezza primaverile che ti accarezzava i capelli e le spalle in maniera così delicata da farti venire i brividi. Quel pomeriggio ero a casa con mia sorella che aiutava a prepararmi per il ballo di quella sera. Avevo appena diciannove anni ed ero piuttosto bella, anzi, mio padre mi definiva sempre “un buonissimo partito” per qualche uomo dell’alta società. Ma io avevo già l’uomo della mia vita, quello con cui sarei andata a ballare quella sera. Si chiamava Jack, viveva da otto anni a Parigi e faceva lo scrittore di professione; a mio parere era molto bravo, ma non aveva molto successo.
«Ci eravamo incontrati un pomeriggio, se la memoria non mi inganna, del 22 aprile, al “Moulin de la Galette”, un luogo molto frequentato da coppie, scrittori e artisti, dove si mangiavano delle gustose galettes calde. Mia sorella, avendo intravisto una sua vecchia amica, era andata a salutarla e avevano cominciato a chiacchierare amabilmente; intanto io stavo seduta a sorseggiare del succo di pompelmo con acqua di rose, quando a un certo punto un giovane si sedette accanto a me, chiedendomi se poteva restare a contemplare il mio viso, che sarebbe dovuto essere quello della protagonista del libro che stava scrivendo. All’inizio ero molto imbarazzata, non parlavo spesso con dei giovani, specialmente con dei giovani così affascinanti! Cominciammo a parlare e lui mi raccontò del suo lavoro; gli spiegai che anch’io amavo scrivere e che avrei voluto fare la scrittrice di professione, proprio come lui, ma mio padre non riteneva la mia scelta “adatta a una donna” e soprattutto “a una donna di un certo rango”.
«Ogni volta che mio padre ripeteva quella frase, mi veniva da ridere: in città tutti sapevano ormai che la mia famiglia aveva perso molto del nonno di mio padre. Era ormai inutile definirmi “una donna di un certo rango”.
«Mi sentivo come un fiore soffocato dalle sue stesse radici. Ma cosa potevo fare? Ero solo una giovane ragazza che non poteva neanche sussurrare in quel mondo di donne mute.
«Jack era diverso da mio padre, come da molti altri uomini parigini che conoscevo. Secondo lui una donna doveva avere il diritto di lavorare o almeno svolgere un’attività di suo gradimento, nonostante questa potesse non corrispondere alle aspettative dell’epoca. Mi fece leggere qualche suo componimento e mi raccontò dei suoi viaggi (era nato in Inghilterra, aveva vissuto diversi anni in America e poi si era trasferito in Francia); ascoltavo ogni singola parola che fluiva dalla sua bocca e seguivo ogni suo gesto, come sistemarsi i capelli, convinta che fosse necessario per rendere più vivo il racconto.
«Concordammo il secondo incontro il giorno dopo(Louise trovò una scusa con mio padre per lasciarci soli tutto il pomeriggio!) sempre allo stesso posto; ci vedevamo tutti i pomeriggi per bere qualcosa di fresco o per passeggiare fino a Les Tuileries. Non osò mai andare oltre un bacio sulla mia mano, era davvero un gentiluomo nonostante le umili origini, secondo quanto mi aveva raccontato. Infine il 20 maggio m’invitò a un ballo di gala dove non ci sarebbero stranamente stati solo esponenti dell’alta società ma anche diversi artisti. Mia sorella Louise mi fornì tutto l’appoggio possibile, spiegando a mio padre che non si trattava di una serata da “poco di buono”, come mio padre era solito definire alcune feste, a me ovviamente vietate. Fortunatamente mia sorella riuscì a convincere il tuo bisnonno, a condizione che Louise venisse con me. Così, passammo tutto il pomeriggio a pettinare i capelli, applicare quel poco trucco che ci veniva concesso e infine a indossare due vestiti splendidi che desideravamo portare da molto tempo. Ero vestita con un abito bianco di seta spumeggiante e un paio di guanti abbinati dello stesso tessuto; mia sorella mi aiutò a raccogliere i capelli in uno chignon morbido, lasciando la frangia libera e incorniciando l’opera d’arte con una rosa posta sul lato sinistro, poco sopra l’orecchio.
«Avevamo appuntamento davanti alla scalinata che conduceva alla sala; quando arrivai, Jack era già lì. Baciò la mia mano coperta dal guanto immacolato e subito dopo baciò quella di mia sorella. Appena entrai nella sala di madame Du Bois, che aveva organizzato nei minimi dettagli la festa, Jack mi prese per mano e mi condusse verso la pista da ballo. Dopo cinque danze, avevo bisogno di prendere un po’ d’aria fresca, così uscimmo sul balcone dove, a differenza del terrazzo, non c’era nessuno. “Sei bellissima” mi disse sistemandomi prima la rosa e poi una ciocca della frangia. La parte del suo aspetto che preferivo erano gli occhi: color ghiaccio, ma capaci di regalarmi un calore che la mia famiglia non era mai riuscita a darmi. Aveva la mano destra appoggiata delicatamente sulla mia guancia sinistra e ogni tanto muoveva il pollice in alto e in basso; poi di colpo il pollice si fermò, il suo sguardo diventò ancora più intenso, poggiò le sue labbra e le chiuse sulle mie. Era il mio primo bacio, infatti, le mie guance, dall’incarnato molto chiaro, assunsero subito un colorito tendente al rosso, soprattutto dopo il sorriso che mi rivolse. Poco dopo rientrammo nella sala e danzammo tutta la sera.
«Jack fu così gentile da scortarci entrambe fino a casa. Dopo aver salutato mia sorella, sentii la sua mano accarezzare i miei capelli, quasi come se s’insinuasse fino alla radice, poi la mano sinistra strinse dolcemente la mia e mi baciò.
«La mattina seguente, dopo colazione, mio padre mi annunciò che avrei sposato Sir William, un famoso imprenditore industriale vissuto fino all’età di vent’anni a Londra, che al momento viveva vicino a Place de la Madeleine. Non mi fu più permesso di uscire da casa fino al giorno del matrimonio, nemmeno in presenza di mia sorella, né tantomeno di vedere Jack. Gli scrissi una lettera informandolo del matrimonio che avrebbe avuto luogo la settimana successiva. Mio padre aveva detto che l’unico lavoro che avrei fatto, sarebbe stato quello della moglie e della madre e che quel matrimonio era necessario per salvare le sorti della famiglia. Le radici non mi permettevano di fuggire e quella rosa, che proprio queste avevano nutrito, stava per essere soffocata.
Il 3 giugno sposai tuo nonno.»

«Lo hai mai amato il nonno?»
«Oh sì, con il tempo ho imparato ad amarlo, ma in modo molto diverso da come amavo Jack; tuo nonno era una brava persona, si era sempre preso cura di me. Inoltre era a conoscenza della mia passione per i libri, per la poesia e per la scrittura e mi aveva sempre permesso di scrivere. Sapeva che ero innamorata di un altro uomo, ma ha avuto molta pazienza con me. Un anno dopo il matrimonio, fu concepita tua madre. Fu la mia gioia più grande quando nacque! Due anni dopo nacque tuo zio: tuo nonno accettò di chiamarlo Jack. Stranamente anche lui ama scrivere.»
«Ancora non ho capito una cosa, nonna. Perché hai sempre chiamato questo racconto “la storia del quadro”, quando non hai accennato a nessun dipinto in tutto il corso della narrazione?»
«Hai ragione, Sophie. Madame Du Bois, la signora che aveva organizzato quel ballo, era una donna appartenente all’alta società e amava moltissimo l’arte. Aveva conosciuto un pittore a “Le Moulin de la Galette”, che si chiamava Pierre-Auguste. Erano diventati presto amici e la signora adorava le sue pennellate. La sera del ballo lo invitò per dipingerne alcune scene, per coglierne i momenti più intriganti.»
«Dipinse te e Jack?»
«Esattamente, mentre danzavamo insieme, dopo il nostro primo bacio.»
«Come mai scelse proprio voi due?»
«Non lo so, Sophie. Venni a sapere che Jack e io eravamo i soggetti di quel dipinto due settimane dopo, quando ormai ero sposata. Non volevo indagare troppo per non ferire tuo nonno e soprattutto per non ferire me stessa.»
«E questo quadro non lo hai mai avuto?»
«No, ma se vuoi, puoi vederlo.»
«Dov’è?»
«Sei mai stata al “Musée d’Orsay”?»
«Ci sono andata una volta con la mamma e all’inizio dell’anno con la scuola, perché?»
«Sei riuscita a vedere il dipinto Danse à la ville di Renoir?»
«Non dirmi che …»
«Proprio quello!»
«Eri diversa da giovane, avevi i capelli molto più chiari! Però hai conservato sempre lo stesso naso!»
«Ti deve essere piaciuto molto quel quadro per ricordarlo così bene!»
«Magnifico, nonna.»
«Bene Sophie, ora vado a stendermi un po’ sul letto, sono stanca. Fra poco dovrebbe arrivare la mamma. Se vuoi prendere un’altra fetta di torta, serviti pure.»
«Nonna, non hai saputo più niente di Jack?»
«Mi scrisse solo un bigliettino per dirmi che mi amava, che mi avrebbe sempre amata. Solo questo: “Ti amo e ti amerò per sempre”».


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010