Stesso nome, stessa religione ma due destini diversi
La signora Anna C. è un’anziana e arzilla signora tutta pepe, che con ironia e serenità distribuisce pillole del suo passato a chi ha del tempo da dedicarle, di fermarsi ad ascoltarla, visto che secondo lei noi giovani corriamo troppo e perdiamo di vista le cose principali senza godere di ciò che abbiamo.
A vederla così serena, nessuno crederebbe di trovarsi davanti una delle sopravvissute della Shoah, una delle poche fortunate persone che si è salvata da un campo di concentramento.
Ascoltandola ci si sente coinvolgere dall’emozione e dai suoi ricordi, sembra di riuscire a focalizzare alcuni degli episodi della sua vita come se fossero immagini di un film.
Anna è nata nel 1930 e, insieme alla sua famiglia, è stata deportata in un campo di concentramento nel 1944.
Vennero tutti catturati da soldati nazisti mentre cercavano di passare il confine tedesco per raggiungere l’America, laggiù infatti si trovava la zia materna da cui sarebbero potuti essere liberi.
Mentre la si ascolta, non si può fare a meno di paragonare la sua storia a quella di un’altra ragazza, anch’essa deportata: Anna Frank.
Anna C. proviene da una benestante famiglia austriaca, figlia unica, coccolata e viziata dai genitori, trascorre un’infanzia spensierata fino al tragico giorno in cui viene catturata insieme alla sua famiglia.
Nel campo di concentramento viene separata dal padre e dalla madre che vengono mandati in un altro lager. Viene picchiata, prova la fame e la disperazione più nera, si aggrappa ai suoi ricordi famigliari più belli per resistere in quell’inferno, mentre assiste alla morte di tantissimi ragazzi della sua età che un momento prima erano vicino a lei, uniti dallo stesso triste destino, e un momento dopo venivano trucidati barbaramente. Vede la gente morire davanti ai suoi occhi senza poterla aiutare e senza trovare una spiegazione a tutto questo, vede le violenze che alcuni soldati usano sui prigionieri, trattati come oggetti o peggio come bestie, assiste alla crudeltà umana e osserva atterrita cosa vuol dire sterminare un intero popolo.
Ancora adesso, a distanza di quasi settant’anni si chiede per quale motivo si sia scatenata una cattiveria simile contro gli ebrei e ancora oggi non sa darsi risposta.
A differenza di Anna Frank, non ha tenuto un diario su cui annotare tutto ciò che le succedeva, ma grazie alla sua ottima memoria, ricorda ancora oggi date e nomi che sta raccogliendo in un memoriale che, secondo quello che dice, farà pubblicare quando sarà vecchia. Anche Anna C. ha letto il diario di Anna Frank e ne rammenta alcuni stralci.
All’inizio del libro una citazione dice: la carta è più paziente degli uomini e secondo lei in questa breve frase sono racchiuse molte verità, perché tutto quello che viene scritto rimane lì, sotto gli occhi di tutti quelli che lo vogliono leggere. Anche la frase grande è lo spirito dell’uomo e meschine sono le sue azioni spiega, in poche parole, che non c’è stata una ragione per questo massacro, ma solo tanta crudeltà che purtroppo continua ancora. Tuttavia la frase più profonda del diario è per lei questa: la gioventù in fondo è più solitaria della vecchiaia spiega infatti la tristezza che hanno provato i giovani ebrei in quel periodo in cui non c’erano ideali, non c’erano certezze e non si sapeva in cosa credere se non nel proprio dio e nella propria religione, che era purtroppo anche la causa di tutto lo sterminio.
Ricorda ancora le urla strazianti delle compagne di lager, la carenza di cibo, la divisa sporca che era costretta a portare, proprio lei che era stata abituata a vestiti di pizzo e seta.
A volte nella notte si sveglia sudata e spaventata, le sembra ancora di essere nel campo, prova ancora la stessa sensazione di privazione di libertà e di terrore e le ci vuole un po’ per rendersi conto che è tutto passato, che l’orrore è finito.
La sua fortuna è stata quella di incontrare un giovane soldato, forse innamorato di lei, che di nascosto le portava qualcosa da mangiare e che cancellava il suo nome dall’elenco delle persone da portare nella camera a gas.
Quando è stata liberata dal campo di concentramento è riuscita, dopo qualche mese, a rintracciare sia la madre che il padre, entrambi sopravvissuti all’olocausto.
Invece Anna Frank è morta qualche settimana prima che i soldati inglesi la potessero aiutare e, della sua famiglia, solo il padre si è salvato.
Di quella ragazzina spensierata ci rimangono solo le pagine del diario che il padre fece successivamente pubblicare e che hanno permesso al mondo intero di conoscere i sentimenti e le speranze di una piccola ebrea, i sogni e le aspirazioni, le tristezze e le brutture della guerra.
Durante gli anni di segregazione in uno scantinato con un’altra famiglia, Anna Frank racconta nel suo diario che chiama Kitty, tutto ciò che le succede e tutto ciò che prova, con la speranza più grande di poter tornare presto a scuola.
Anna Frank, giovane donna con un’intelligenza penetrante e precoce, con un occhio critico a cui non sfuggiva nulla, con il dono dell’ironia e la facoltà di raccontare le cose nella loro sostanza, era una ragazza che amava molto leggere e sognare e che sapeva scrivere in modo straordinariamente efficace, di sicuro sarebbe diventata una scrittrice di successo.
Il suo sogno, però, non si è potuto realizzare, a causa dello sterminio operato nei confronti di persone che avevano solo una colpa: essere ebrei.
Anche la signora Anna C. ha vissuto quell’orrore ma è riuscita a portare avanti i suoi sogni e a vivere serenamente nonostante tutto. Mentre conclude il suo racconto, sembra di vedere i suoi occhi diventare lucidi, infatti con commozione prosegue dicendo: L’unica cosa bella di quel lager fu che sposai uno dei soldati inglesi che ci liberò, Johnny, con cui ho avuto due splendidi figli e che è stato al mio fianco per più di trent’anni.
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