Pennellate di passato
Non appena apre gli occhi, il vecchio Karl è accecato da un timido raggio di sole che, penetrato da una fessura della veneziana, disegna una minuscola sfera luminosa sul pavimento Anche la piccola colomba che abita sotto la tettoia sembra volergli dare il buongiorno, picchiando vivacemente contro il vetro chiuso.
"Chi sono? Dove sono?" si chiede smarrito, strizzando gli occhi; frammenti del sogno che ha appena fatto gli scorrono ancora davanti agli occhi come fuggevoli fotogrammi.
Subito dopo il vecchio Karl riconosce la stanza al quinto piano del vecchio casolare dove abita ormai da... quanti anni? E chi sta più a contarli? Riconosce l'odore dolciastro di whisky, e di cibo andato a male, le pareti spoglie e scolorite, i mobili di legno noce consumati dai tarli. Inizia un nuovo giorno, dopo la solita notte inquieta e agitata. Il tumore non gli dà tregua, e a volte il vecchio Karl vorrebbe che la fine arrivasse presto.
"Che cosa mi resta?" si chiede anche stamattina, alzandosi faticosamente dal materasso duro dove dorme. "La mia squallida vita e i miei squallidi quadri".
Dal suo nido sotto la grondaia, la colomba lo guarda con un'ombra di risentimento, come se potesse leggere i suoi pensieri.
Karl scava un sorriso nelle sue vecchie rughe - E poi ci sei tu - mormora ad alta voce - Credevi che ti avessi dimenticata, vero? - apre il vetro e allunga la mano per accarezzarla. È la sua unica amica, adesso.
Il vecchio Karl aveva passato una vita intera a dipingere, a rincorrere i suoi sogni, a materializzarli sulla tela con i colori a olio, prima che scappassero via senza poterli gridare al mondo intero con le varie tonalità di rosso, verde e giallo.
"Sono proprio questo gli artisti" gli dicevano i suoi insegnanti quando era un bambino. "Cacciatori di sogni".
Ma non è facile imprigionare sprazzi di fantasia sulla setola di un pennello: il vecchio Karl ha dipinto molte immagini, da quando, a sette anni aveva cercato di riprodurre il cane della nonna sull'unica tela che si poteva permettere, un sacco di canapa ingiallita, ma detesta i suoi lavori. I suoi soli, le sue lune, le sue montagne non sembrano rappresentare niente di vivo. Forse è per questo che nessun critico lo ha lodato e nessuno ha mai accettato i suoi quadri nelle proprie mostre.
"Un fallimento" pensa cupamente.- "I miei quadri sono un fallimento, la mia vita è stata un fallimento". Quello che ha deciso di fare è terribile, il vecchio pittore non sa neanche se avrà il coraggio di farlo. Ma deve farlo, non può assolutamente tirarsi indietro. Deve tagliare i ponti con il passato, con i settantotto anni vissuti in questo mondo in cui non è riuscito a fare niente e a dare niente.
Si abbottona la camicia, si infila i vecchi pantaloni stinti, raccoglie tutte le sue tele, che sono sparse per la stanza, chiuse nell'armadio, infilate sotto il letto, e le infila in un sacco. Prende il cappello e prima di uscire lo sguardo gli cade sull'unica cosa in ordine di quel monolocale, una foto incorniciata, circondata da fiori freschi che il vecchio Karl cambia religiosamente ogni giorno, cascasse il mondo. È la fotografia di Clara, la sua Clara, l'unica persona per cui sia valsa la pena di vivere, il cui ricordo è per Karl come la linfa per la pianta.
Mentre Karl con il sacco in spalla scende le ripide e strette rampe di scale si sorprende a pensarla con la solita nostalgia. Lei occupa ogni centimetro della sua mente e del suo cuore. La vede ancora come l'ultima volta, con il volto pallido al chiaro di luna, gli occhi color lavanda, le lacrime di cristallo, i capelli neri come la notte. Clara su quel sentiero, Clara con alle spalle il profilo scuro delle montagne, la sua camicia da notte bianca, la piccola rosa tea appuntata sul petto, il suo inebriante profumo di tè e di menta. E poi quel maledetto soldato nazista, quel maledetto fucile, quella maledetta pallottola, il sangue sulla sua veste. A distanza di quasi sessant'anni, il vecchio Karl si ricorda ancora i suoi tratti delicati, lo sfondo notturno intorno a lei, la sua dolcissima essenza. Clara era sempre stata la sua Musa, ma, chissà perché, non l'aveva mai rappresentata. Forse perché la matita era uno strumento troppo banale per raffigurare l'entità stessa dei suoi sogni e della sua vita reale.
Clara è nei suoi pensieri anche quando arriva al vecchio salice; infatti è lì che si sono baciati per la prima volta... Lente lacrime rigano le guance scavate e stanche di Karl, e nei suoi occhi scuri ci sono sempre quelli di lei, violetti.
- Non ho mai visto una ragazza con occhi di questo colore, Clara.
-.Non ti piacciono?
-.Sono la cosa più bella che abbia mai visto, sembrano le violette della primavera
La sua effigie rimane impressa anche nelle alte fiamme in cui Karl getta uno a uno i suoi poveri dipinti. Il fuoco divora in breve tempo le tele, i colori, le linee... il frutto della passione, del lavoro di una vita adesso giace davanti a lui: un mucchio di ceneri nerastre.
Quella sera le aveva chiesto di sposarlo, e lei aveva accettato. Ma solo pochi minuti dopo... un tragico incidente, l'errore del soldato tedesco che pensava di sparare a un partigiano.
- In guerra tutto può accadere - si era giustificato con il suo accento odioso. Karl era dovuto fuggire dal desiderio di ucciderlo come un animale. E da quella drammatica notte non faceva che pensare a lei, l'imperatrice di tutti i suoi sogni...
Il vecchio Karl sente una fitta improvvisa allo stomaco: non ha preso la sua pastiglia quotidiana, se n'è proprio dimenticato. Ma d'altronde cosa importa? Bruciando i suoi quadri troppo insignificanti per essere lasciati in vita, aveva bruciato anche qualsiasi contatto con l'esistenza terrena. Adesso può solo aspettare di morire.
"Che m'importa di essere in questo stato?" si chiede stancamente. "Anzi, tra poco potrò rivederla, dovrei essere felice".
Ma non è felice, gli sembra di vederla, ritta e seria come un giudice, con lo sguardo di rimprovero negli occhi viola. La sua voce negli echi del passato...
- Karl, io penso che ogni persona ha un compito fondamentale in questo mondo, e deve assolutamente eseguirlo, altrimenti la sua vita non avrebbe alcun senso. E tu sai qual è il tuo compito? Sai cosa devi lasciare di te al mondo che abbandonerai un giorno?
"Non ho lasciato niente" medita Karl pensando al rogo dei suoi squallidi dipinti. Si ricordò di una poesia che aveva letto da qualche parte, di un certo Nazim Hikmet, che diceva "Non vivere su questa terra come un inquilino" e pensò che per lui questo insegnamento non era valido.
-Un artista, Karl, non è una persona che cerca di copiare il sole in tutta la sua maestosa inimitabilità. Non è la tua mente che deve muovere il pennello, ma il tuo cuore
"Oh, Clara, è proprio questo che non ho mai capito! E adesso è troppo tardi"
Infine ritorna alla sua soffitta polverosa e spalanca le imposte per far entrare l'aria fresca. Sta per iniziare l'estate, e all'orizzonte nuvole nere, rosse e arancio si scontrano in un tramonto di fuoco, tagliato a metà da uno stormo nerissimo di rondini. La sua piccola colomba è ancora lì, e sembra quasi che pianga, come se intuisse l'imminente distacco.
- Non avere paura - gli sussurra Karl - io sarò sempre con te, anche se non mi vedrai.
Si versa un bicchierino di whisky: sta malissimo, e sa che ormai è questione di ore... la malattia sta portando via tutte le sue speranze ormai fallite... possibile che non esiste un modo per lasciare un segno tangibile di lui, di Clara, della vita che ha speso cercando vanamente di essere un pittore? Solo adesso si rende conto di cosa significhi essere un artista... il suo cuore e la sua mente si sono sincronizzati. Si guarda intorno e poi ad un tratto i suoi occhi si fermano proprio lì: ora sa cosa deve fare.
È mercoledì pomeriggio: sono a Milano con alcuni amici. È l'inizio di Dicembre e fa molto freddo; si stanno già preparando le decorazioni di Natale. Abbiamo fatto shopping in centro, alla Rinascente, nelle varie boutique e negozi di dischi. Dopo il pranzo a MacDonald's mentre torniamo a piedi alla stazione passiamo in Galleria, dove è stata allestita una mostra di quadri, dipinti contemporanei di anonimi, come dice il cartello che apre l'esposizione.
- Diamo un'occhiata - propongo.
La mia amica scuote la testa - Alice, siamo già in ritardo - ma io mi sono già diretta verso l'entrata. E alla fine i miei amici, la cui virtù più apprezzabile è senza dubbio la diplomazia, mi seguono di malavoglia.
Dopo aver curiosato qua e là mi fermo davanti a questo dipinto: è il più semplice di tutti, ma mi ha colpito tantissimo, non so perché.
- Ti piace? - domanda una voce gentile alle mie spalle. È una giovane donna nello staff di organizzazione e illustrazione della mostra - È di un uomo trovato morto sei mesi fa in un'orribile soffitta. Poveraccio... peccato, sarebbe stato un grande, vero artista se avessimo potuto ammirare altre sue opere.
Torno a guardare il quadro, rapita dalla forza magica che sprigiona: è una colomba bianca con gli occhi viola che hanno uno sguardo troppo umano per essere davvero l'uccello che sembra. Infatti dietro questa immagine superficiale giurerei di vedere una donna con lunghi capelli neri che cammina su un sentiero illuminato dalla luna, e magari con una piccola rosa tea appuntata sulla camicia da notte. È il dipinto più bello che abbia mai visto.
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