Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
14ª edizione - (2011)

L’autobus 1

Ti svegli, ma sei ancora intontita. Le ossa sono intorpidite, la mente è fiacca: non ricordi come sei arrivata qui.
Seduta su un sedile logoro posto nel fondo dell’autobus, osservi gli altri mezzi che corrono sulla carreggiata sfrecciando veloci e impassibili.
Le insegne non esistono più, o forse mai sono esistite.
L’autobus ospita un’altra coppia di persone che con il proseguire dei metri, è sempre più distante, si avvicina alle porte per scendere. Ma staziona lì, davanti a queste ultime, e ti osserva con un sorriso appena accennato sulle labbra, ferma.
Apri la tua valigia che è sempre stata lì, sul sedile accanto, il contenuto sembra infittirsi maggiormente a ogni fermata percorsa: diventa più pesante e più consumata. Il bagaglio è rigato, a tratti sembra presentare squarci che fanno scivolare il contenuto sul pavimento.
Sfogli il quadernino e impugni la penna. Vuoi provare a scrivere. Vuoi provare a far correre la mente attraverso righe che non si fermerebbero mai, vorresti continuare a scrivere fino a quando la strada non finirà, fino a quando la tua mente avrà limite.
L’autobus inchioda bruscamente e altre persone salgono. Ora ce ne sono tantissime, tutte che ti sorridono cordiali, alcune ti abbracciano desiderose che tu le ricambi e tu ricambi ugualmente pur non conoscendo e non ricordando nulla.
Ti sembra strano, questo posto. Un posto piccolo che continua a correre, munito di quelle ruote che continuano a macinare tratti e tratti di strade, sorpassando e arretrando a sua volta, continuando a viaggiare.
Si fermerà mai?
Molti si siedono al tuo fianco, incominciano a parlare con un ritmo sempre più accelerato fino a che alcuni cominciano a scendere alla prima fermata. Altri ancora salgono ma sono in numero inferiore rispetto a quelli che sono scesi.
La confusione regna, i volti sono nuovi, altri sono conosciuti ma non molto, altri ancora sembra di condividerli da sempre.
È proprio un posto strano, questo.
La coppia che avevi visto inizialmente è ancora lì, davanti alle porte dell’autobus, che ti osserva e sorride ancora, senza smettere, e gli occhi sono colmi di gioia, una gioia che avvolge l’autobus ma, nello stesso tempo, che il caos fa appassire.
Alcune persone incominciano a sedersi vicino a te, accavallandosi con altre che precedentemente ti rivolgevano la parola e continuano a farlo tutt’ora, miscelando i loro pensieri agli altri.
Il disordine sembra sconfinare nell’autobus.
Vorresti imparare come funziona qui. Prendi la penna e provi a scrivere sul quadernetto, vorresti riflettere.
L’autobus sobbalza ancora, l’ennesima fermata che trascina con sé altre persone che non ti salutano nemmeno, si voltano e proseguono verso un altro autobus; quel che resta di loro è solo un altro graffio sulla tua valigia.
La stringi forte al petto, anche se il suo peso sembra diventare insostenibile, anche se a volte sembra farti sprofondare nel vuoto, anche se spesso gli squarci incidono anche te.
È un paradosso, pensi. Hai solo voglia di capire, vorresti comprendere il motivo. Perché sei salita su questo autobus così frettoloso e confusionario? Chi ti ha lasciata qui? Perché non scendi?
La calca che si è formata attorno a te comincia ad attenuarsi, molta gente scompare lentamente, cambiando nuovamente autobus e ciò che puoi vedere ancora sono le loro teste voltate che proseguono imperterrite, nessuno sguardo torna indietro.
Rimangono solo le parole delle persone che continuano a risuonare nella tua testa, con tono sempre più basso.
Impaurisci. Stai dimenticando.
È così che andrà, forse? Dimenticherai tutto e ti risveglierai ancora su questo autobus? Incapace di scendere alla tua fermata?
Giochi con la penna che solerte e silenziosa ti accompagna e non fa domande, ma una scossa ti pervade ugualmente.
Qual è la tua fermata?
Le domande sono complici della tua penna, credi. E se non ci fosse per te la fermata? Se fosse l’autobus la tua fermata, un viaggio infinito con sonni e graffi?
Le mani avvinghiano violentemente la valigia che sembra alleggerirsi man mano che le persone scendono, ma nello stesso tempo sembra scorticarsi inesorabilmente.
L’autobus frena davanti a un’altra fermata, vuota. Solo una persona sale e senza incrociare il suo sguardo con altri, segue solo te e si fa strada tra la folla che ormai folla non è. Ora qui vi sono solo persone che ti hanno accompagnata per tante e tante fermate, che ti sono sempre rimaste accanto, mentre quelle altre due agli antipodi del mezzo ti sorridono ancora e non cessano di farlo.
Si siede al tuo fianco e la gente che è solita circondarti si fa un poco da parte: è sempre vicina a te, è semplicemente seduta ai posti successivi e ti osserva anch’essa attenta.
I suoi gesti sono automatici: afferra la tua valigia, la apre e osservate insieme il contenuto, mentre le risate sorgono spontanee, ma senza imbarazzo.
Sono risate colme di curiosità e stranezza, non come quelle risate che hanno echeggiato flebilmente qui dentro, non come quei pianti che si sono sprigionati fiochi tra questi sedili e questi finestrini. Sono emozioni che stazionano ferme e non sembrano andarsene, sembrano impregnarsi nell’abitacolo e non uscirne più.
Sembrano prendere magicamente vita e immettersi nella tua valigia che, però, sembra farsi più leggera. Ma nonostante tutto lo scotch che hai utilizzato per rendere migliori le condizioni della valigia, i graffi e gli squarci più profondi restano.
Ognuno ora ha un proprio posto sull’autobus, l’equilibrio sembra essere sovrano, la serenità ospita tutti con una carezza, le parole sono talmente ben posate da creare un silenzio perfetto, incastrando ogni respiro con l’altro.
Scorgi dal finestrino altri autobus che deviano o che proseguono dritti per questi lunghi piani catramosi e il cielo blu che si estende su tutto il dedalo di strade che ti circonda.
Impugni la penna e apri il quadernetto: finalmente sai cosa scrivere.
Chi è seduto al tuo fianco ti prende per mano e ti trascina verso le porte dell’autobus.
Sei confusa.
Afferra il tuo bagaglio e solo ora noti che ognuno ha una propria borsa con sé, solo ora scopri che ognuno ha una penna e un quadernetto. Provi a scorgere cosa vi hanno annotato, ma ti viene impedito.
Il dolce impedimento ti strattona lievemente dicendo: - Dobbiamo scendere altrimenti perderemo la strada.
Apre furtivo la valigia e infila il suo borsone dentro.
È pronto.
E tu? Sei pronta?
Il quadernetto lo tieni nella mano destra, la sinistra è occupata dalla sua mano.
Ora riesci a vedere quella coppia di brave persone che ti fissava a pochi centimetri da te ed è esattamente uguale a come la vedevi in precedenza, in fondo all’autobus. Questo rallenta in una dolce ninna nanna per poi inchiodare, c’è semplicemente un marciapiede che ti attende.
Si spalancano le porte e loro ti sorridono, ti scortano all’uscita e vedi l’autobus allontanarsi, malinconica. E loro continueranno a sorriderti, sempre.
Vorresti tornare indietro, vorresti salire sull’autobus e stai per farlo, stai per rincorrerlo e tornare su quei sedili che ti hanno accolta umilmente. La mancanza si fa sentire, cerchi di fuggire e quando ci riesci ti senti scoperta, smarrita.
Un torpore famigliare ti avvolge, le palpebre si appesantiscono, forse ora ti sdraierai.
- Vieni, presto! O perderemo l’autobus! - Tuona lui accarezzandoti il viso. Devi andare, lo sai bene. Ma il torpore ti pervade interamente, trasportandoti giù… Sempre più giù.
Il quaderno e la penna sono sempre lì con te. Forse un giorno saprai cosa scrivere.
E se ti addormenterai?
Non puoi farlo, non questa volta.
Devi restare sveglia.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010