Linfa vitale
Ben non poteva più vedere il villaggio all’orizzonte, dopo che fu entrato nella radura. Provava un misto di inquietudine per la lontananza da casa e di curiosità per quel luogo mai esplorato prima. Il cielo sfumava con lentezza verso l’arancione vivo del tramonto ed egli osservava estasiato quell’esplosione di colore che invadeva il cielo: l’azzurro che stava per essere ricoperto dal rosso, le nuvole grigiastre che si dissipavano rapidamente e il nero della notte che attendeva impaziente di regnare su ogni altro colore. Smise di guardare verso l’alto solo quando sentì il rumore di uno scoiattolo che correva tra le foglie autunnali sparse sul terreno.
Aveva camminato a lungo e si era abituato al suono dei suoi passi, ma per il resto non aveva sentito alcun rumore da quando si era avvicinato al bosco; ciò non faceva altro che accrescere l’aura di mistero intorno a quel luogo. Si avvicinò guardingo e si fece strada lentamente osservando con cura le fronde ingiallite degli alberi che lo circondavano, quasi avvolgendolo o, pensò con un brivido, inghiottendolo. Il fruscio delle foglie era piacevole, ma non lo era la sensazione opprimente che qualcosa lo stesse attirando verso di sé per catturarlo. Mentre si guardava intorno, inciampò su una radice sporgente dal suolo e sarebbe ruzzolato a terra se non si fosse aggrappato istintivamente all’albero lì vicino. Non appena lo toccò, si accorse che il tronco non aveva la forma naturale: sembrava invece che fosse stato logorato da qualcosa che ne aveva mutato la forma. Quando alzò lo sguardo non credette ai suoi occhi: il tronco era stato scolpito sapientemente fino a ricavarne un corpo femminile di incredibile realismo. Imprecò per lo stupore, poi si allontanò a passi svelti senza staccare lo sguardo dall’arbusto.
La cosa più saggia da fare era sicuramente tornare a casa (la notte era sorta completamente scacciando in malo modo i bei colori che l’avevano preceduta) dimenticando quella lunga camminata che lo aveva condotto alla misteriosa scoperta. Ma non poteva, rifletté, ignorare la scultura che stava fissando e tornò indietro: il volto era raffigurato con minuzia, il corpo era ben proporzionato. La sfiorò ed ebbe un terribile presentimento: quella donna era viva. O almeno lo era stata.
Prese a respirare affannosamente e si diresse senza esitazione verso il villaggio. La luce della luna filtrava rarefatta attraverso gli alberi numerosi del bosco. Era convinto che nessuno abitasse lì, ma dovette ricredersi quando scorse con la coda dell’occhio una piccola abitazione tra gli arbusti; credette immediatamente di aver scoperto l’autore dell’opera d’arte, visto che quella doveva essere l’unica casa nei paraggi. Si preoccupò accorgendosi di esservi finito troppo vicino per non essere notato. Infatti chi viveva lì uscì di casa immediatamente e gli si avvicinò a passo svelto e Ben, colto alla sprovvista, non fece in tempo a fuggire.
- Ehi, ragazzo! Cosa fai qui? Non avevo mai visto qualcuno della tua età arrivare fin qui.
- Mi chiamo Stephen. Devi aver notato la mia scultura.
Non appena sentì queste parole ebbe subito l’impressione di potersi fidare dell’uomo.
- Torno a casa subito, non si preoccupi. Ho sbagliato a venire fin qui.
Detto ciò, si diresse nuovamente verso casa, ma il suo interlocutore continuò: - Se puoi attendere, ti offro qualcosa da bere o da mangiare prima che tu ritorni.
Il giovane rifiutò ringraziando con un cenno e grazie a un riflesso di luce notò una cicatrice sul volto di Stephen e un pugnale agganciato alla sua cintura. Gli si gelò il sangue nelle vene; non poteva fidarsi di un uomo armato, per di più nel cuore della notte. Optò per la fuga, contando di superare nettamente in velocità l’uomo, sempre che lo avesse inseguito. Avanzando sentiva rumori di passi che si intensificavano man mano che la sua corsa diventava più rapida e si accorse subito che la velocità dell’inseguitore era superiore a quanto aveva immaginato poco prima. In breve, fu raggiunto e colpito da una percossa potente sulla schiena. Si sbilanciò, proseguendo però la fuga. A questo punto, Stephen non esitò a estrarre l’arma che aveva nascosto a lungo: colpì Ben di striscio al braccio destro facendo sgorgare sangue copioso dall’arto. Egli sentì quindi un dolore lancinante e, trattenendo con la mano il sangue che non frenava la sua fuoriuscita, rallentò la corsa fino a doversi appoggiare a un tronco…
Stephen si fermò, rise di gusto e prese a giocherellare con l’arma.
Il fuggitivo sapeva di non avere scampo. Attese che il colpo mortale arrivasse e non oppose resistenza, sperando di essere risparmiato…
Ma spesso la pietà deve cedere alla furia…
E fu quello che accadde. Stephen prese a calci con forza il ragazzo e lo colpì con numerose coltellate; il ferito provava un dolore inimmaginabile, ma rimase abbastanza lucido da notare qualcosa sul tronco a cui si era aggrappato poco prima. Un qualcosa a lui già familiare…
Tre settimane dopo…
John aveva spesso pensato di visitare quella radura, ma la sua lontananza (dalla cittadina era piuttosto difficile raggiungerla) lo aveva sempre spinto a desistere. Quella mattina però, dopo che la giornata precedente era trascorsa nella monotonia assoluta, si era deciso a fare una passeggiata fin lì. Amava da tempo l’esplorazione, ma non aveva potuto fare grandi camminate nel mese corrente; per questo era particolarmente euforico di trovarsi lì. Notò fin da subito un albero dal tronco scolpito con maestria e pensò che lo avrebbe raccontato ai suoi amici, con i quali sarebbe anche potuto tornare un giorno. Mentre lo sfiorava incredulo fu cinto con foga da qualcuno alle sue spalle, e stava per soffocare quando trovò la forza di sgomitare energicamente. L’uomo dovette retrocedere di qualche passo e John lo colpì con un calcio agli stinchi; poi, vedendo che il suo aggressore aveva in mano un coltello, provò ad allontanarsi.
L’uomo si rialzò e trattenne per la maglia il ragazzo, sferrando colpi alla cieca con la lama. Uno di questi era particolarmente potente, ma molto impreciso e il coltello si conficcò nel tronco. John fu scaltro nel notarlo e, liberatosi dalla stretta, si armò della stessa lama e colpì il collo dell’aggressore. Ritrasse subito la mano, terrorizzato dalla barbarie che aveva sfoderato per difendersi. L’uomo fu in grado di pronunciare, seppur a fatica, un’ultima frase prima di morire: - Niente su… questo albero… è stato… scolpito.
John non seppe come interpretare quelle parole, ma diede loro poca importanza. Era sollevato per non aver perso la vita, ma si pentiva di averne privato un altro uomo; si allontanò vacillando senza una meta precisa (non ricordava la strada fatta ed era troppo confuso per rifletterci su). Si voltò solamente una volta, forse per imprimere nella memoria la scena di cui era stato un triste protagonista. Quello che vide superò di gran lunga in importanza ogni fatto precedente: l’albero era ora privo delle sua sculture (nessuno aveva mai scolpito, ricordò con amarezza il giovane) e il tronco sembrava non essere mai stato intagliato.
Che forse le rappresentazioni fossero di giovani innocenti che, come lui, erano finiti vittima del criminale?
Scacciò quella congettura surreale dalla mente. Forse si era solo immaginato tutto.
Eppure…
Gli parve (ne era quasi sicuro, anche se non aveva il coraggio di ammetterlo) di sentire una voce maschile e una femminile, flebili ma percettibili. L’uomo gli disse: - Grazie.
La ragazza, commossa, disse: - Ora siamo liberi.
John abbozzò un sorriso, sbigottito ma felice. Qualche volta sembra impossibile che dei fatti stiano accadendo ma, che siano reali o meno, niente è equiparabile alla gioia che si prova vivendoli.
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