Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
14ª edizione - (2011)

"Io non vorrei crepare" di Boris Vian - Riflessioni
di Valentina Farano
Premio speciale ANPI Barona Milano

Dio, quante cose da fare,
da intendere e volere
da contare e aspettare,
Mentre la fine già avanza in notti sempre più nere.
Striscia, con la schifosa sembianza di un rospo.
Eccola, non c’è più scampo.
Gli occhi nei miei…

Incombe… e ne si ha la consapevolezza. Si ha la consapevolezza di quanto tutto ciò che è la vita possa finire e tutto ciò che è il mistero dell’aldilà possa avere inizio.
Boris Vian, attraverso la poesia Io non vorrei crepare, esprime in strofe le mille sensazioni che si affacciano nei pensieri turbati di colui che è a un passo dal confine tra un paese chiamato vita terrena e uno nuovo il cui nome è sconosciuto a noi umani. La linea di confine tra questi due paesi è la morte.

No, proprio no,
io non vorrei crepare…

Tuttavia, colui che dovrà crepare non è un anziano signore che abbandona la sua infanzia felice, la sua gioventù spericolata e la sua quiete vecchiaia; bensì un giovane uomo che non ha ancora del tutto assaporato gli imprevisti, le gioie e i drammi che la vita terrena gli riserva. È un giovane uomo che ha voglia di guardare con i suoi occhi il mondo che lo circonderà, ha voglia di provare sensazioni mai provate, ma anche sofferenze mai provate, ha voglia di respirare un’aria diversa, di gustare sapori rari: ha voglia di conoscere. E perché un giovane uomo dovrebbe morire senza che la sua fine sia realmente giunta, senza poter dire di aver davvero vissuto? Ribellarsi comporta spesso, se non sempre, una conseguenza.
Essere partigiani, avere un ideale antifascista comporta una conseguenza. Essere partigiani, il più delle volte, comporta la morte. Ed è per questo, è per aver difeso e lottato per i suoi ideali, che un giovane uomo muore.
Io non vorrei crepare è una poesia, o qualcosa di più di una poesia, qualcosa di meglio, una marmaglia di emozioni, di desideri. Parla un uomo qualunque, forse con un pizzico di coraggio in più, che come tutti gli uomini è consapevole di dover vivere su questa terra per talmente poco tempo, che si chiede se è davvero stata vissuta la sua vita.
A volte abbiamo un’ansia inspiegabile di dover fare tutto, di dover vivere in un certo modo, perché la vita è una e non si può buttare al vento, allora siamo travolti dal panico di sprecarla, di essere a un bivio e scegliere la strada sbagliata; di conseguenza di perdere tempo, quando di tempo oggi come oggi sembra essercene troppo poco.
Si può morire senza aver visto i cani messicani neri? Si può morire senza aver scoperto se le famose quattro stagioni son proprio quattro e non tre? Senza sapere la lebbra o almeno la febbre dei sette mali? Senza aver goduto a pieno di tutto ciò che di più magnifico riserva la più bella orsacchiotta fra tutte le orse maggiori? Senza che ancora si siano inventate le cose che contano? Morire? Non posso, come faccio? (come si fa?)
Da bambini nessuno ci parla mai della morte, perché giustamente un bambino non capisce come sia possibile non esserci più, sparire da un momento all’altro. Non lo capisce un adulto, figuriamoci un bambino. Per questo si usa parlare di aldilà, perché sembra impossibile che la vita sia tutta qui, sembra impossibile che la vita non abbia un senso, che non serva realmente a qualcosa. Ci si immagina un paradiso, un inferno, un purgatorio. Insomma, un posto nel quale si merita di stare a seconda di come si è vissuto. Ma se tutto ciò non esistesse? Se veramente avessimo solo un arco di tempo nel quale vivere, e poi basta, il nulla? Allora non serve a niente farsi delle domande, non serve cercare un senso. Forse, però, se un senso non c’è dobbiamo darlo noi, perché non mi va che la mia vita debba essere inutile, non mi va proprio, per questo anch’io proprio non vorrei crepare, almeno non prima di aver dato trovato un, anzi il, senso. Non prima di aver visto il tutto e il niente. Non prima di aver riflettuto su ogni dubbio, su ogni stranezza.
Allo stesso tempo, però, mi rendo conto che, come tutta la mia generazione (o quasi), sono cresciuta con l’idea di essere unica. C’è molto egocentrismo in ogni io al giorno d’oggi e questo mi fa pensare che forse la vita di ogni essere umano non può essere unica e importante. Abbiamo forse troppa considerazione di noi stessi?

Io non vorrei crepare.
Senza aver gustato il gusto della morte
.

Morire dopo una vita non del tutto vissuta. Crepare senza aver gustato il gusto della vita, non gustando il gusto della morte. Che sia dolce, amaro, bollente o effimero, la voglia di conoscere non si limita al terreno. Essere morto, senza aver capito davvero cosa significa morire, non ha senso. Non ha senso crepare, non ha senso non avere consapevolezza dell’essere crepato. Spaventa il fatto di non poter più creare, smontare, pensare… io non vorrei crepare.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010