Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
14ª edizione - (2011)

Efi
di Sarah Marlene Sammito
Secondo premio

1. Era agosto, in Sicilia il sole infiammava le spiagge. Efi passava le giornate ciondolando per casa, cercando di sfuggire l’afa terribile che le fondeva insieme tutti i pensieri e le seccava le parole in bocca. La nonna la inseguiva ricordandole di tanto in tanto di togliere qualche vestito da terra o di apparecchiare per tutti. Il fratellino sembrava l’unico immune al caldo, era attivo e pimpante come sempre. La cugina tedesca era venuta con loro in vacanza e le scatenava un senso di disgusto e fastidio che non riusciva a nascondere. La casa non era troppo grande ma aveva due giardini, uno sul retro e uno sulla strada. In quest’ultimo una gattina di forse due mesi, malaticcia e affamata, veniva da qualche giorno a chiedere cibo. Efi le dava quel che trovava in casa provocando un senso di disappunto nei familiari che si ritrovavano le porzioni di cibo ridotte. La portò da un veterinario; una settimana dopo la gattina sparì.
2. Donnalucata era sempre la stessa da quando Efi aveva due anni. A settembre ne avrebbe compiuti diciassette. Era una che amava leggere e sapere, ma non poteva definirsi filosofa in quanto amava leggere e sapere solo ciò che voleva.
3. Il mare non l’attirava più come una volta, soprattutto se piatto e noioso come era solito essere in Sicilia. Efi ricordava una donna dell’antica Grecia, fedele al suo nome. Vestiva con sobrietà, e i capelli scuri mediocorti facevano risaltare i tratti sottili del suo viso. Si aveva l’impressione che il colore dei suoi occhi mutasse a imitare il cielo, ma era appunto, solo un’impressione. In realtà, diceva lei, i miei occhi hanno la capacità di riflettere il cielo, e questo si riflette in me. Così giustificava i suoi cambiamenti d’umore impulsivi e assurdi: era convinta dipendessero dal colore del cielo; chissà se aveva ragione. In quanto agli occhi, non si può di fatto negarne il mutare occasionale della sfumatura.
4. Efi odiava la televisione, tuttavia nei momenti di noia annegava nei discorsi dei politici, o in stupide telenovela dove la gente non sa recitare e il copione è noioso e scontato. Ora, con un libro in mano leggeva parole che le rimbombavano in testa e non formavano frasi sensate e il caldo le si appiccicava addosso come il sale dell’acqua di mare. Decise di andare alla spiaggia, forse sarebbe stata meglio. Prese il suo “Sì” bianco. L’aveva risistemato l’anno precedente e adesso funzionava bene. Odiava le spiagge di Donnalucata, erano piene di gente: tamarri. Come diceva lei, odio i tamarri. Con il “Sì” andò alla Filippa, lì era decisamente più tranquillo.
5. Il nome di Efi era in realtà Ifigenia. La madre, adesso malata di cancro, le raccontava che era in onore di Ifigenia, figlia di Agamennone, che l’aveva chiamata così. Aveva letto da ragazza il passo di Lucrezio sul sacrificio di Ifigenia; amò così tanto quella povera ragazza sacrificata per nulla, che decise di riportarla in vita dando il suo nome a lei, lei Efi, sua figlia.
6. Dicembre. Era cambiato il vento, il cielo, erano cambiati gli occhi di Efi. Il freddo raggrinziva le strade, ora secche come rami d’autunno. L’asfalto irregolare lasciava che si formassero pozzanghere enormi quando pioveva. Lo smog s’incastrava nei polmoni e nei tessuti, nei capelli.
7. C’era vento, ma Efi il vento se lo sentiva dentro. Sapeva che però il vento sarebbe cambiato, si sarebbe portato via i ricordi e la sfumatura grigia dei cieli invernali sbiadita nei suoi occhi. Ma lei, lei Efi, non era una donna stupida, sapeva per certo che il vento sarebbe tornato, più forte, e le avrebbe sbattuto negli occhi e nelle viscere più dolore di quel che precedentemente s’era portato via.
8. Ripensò al suo nome, a sua madre, all’estate finita e morta nella sua testa, morta come la gattina che era scomparsa: quando i gatti sparivano in quel paesino era perché erano stati investiti e gettati in un bidone. Pianse. Pensò ai suoi occhi marroni, marroni come il fango. Non erano mai stati del colore del cielo, e l’estate al mare non era mai stata altro che un sogno. Sfiorò con il dito il marmo gelido della tomba della madre, si alzò, e si avviò tra i fiori del cimitero.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010