Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

Salvate il soldato Ryan di M.A. Collins

[…]
Ryan scosse ancora la testa. "Capitano, se io me ne vado, come faranno loro…"
"Ehi, s*****o!" esplose Reiben. "Due di noi sono morti per portarti il biglietto di ritorno a casa! Prendilo, per Dio! Io lo farei."
Fu come se Ryan fosse stato colpito in pieno da una pallottola. Impallidì di colpo, guardò Miller come per chiedere conferma, e Miller assentì col capo. Il giovane soldato barcollò di nuovo, e andò a sedersi sui sacchetti di sabbia che proteggevano la postazione della mitragliatrice.
Mormorò una domanda.
"Che hai detto, figliolo?" chiese Miller.
"Come… come si chiamavano?"
Fu Mellish a rispondere, con tono di velato rimprovero.
"Wade e Caparzo"
Ryan ripeté: "Wade… e…".
"Caparzo."
Il soldato ripeté più volte a mezza voce quei nomi, memorizzandoli, forse cercando di figurarsi gli uomini in carne ed ossa a cui quei nomi appartenevano.
Poi disse, rivolto a Miller: "Signore, mi sembra tutto così assurdo. Cosa ho fatto per meritare questo trattamento di riguardo?"
"Questa sì che è una bella domanda" disse Reiben.
Miller gli lanciò un'occhiataccia e rispose, rivolto a Ryan: "Tu non c'entri. C'entra la politica… e tua madre".
Ma Ryan non parve convinto. "Voglio dire, santo cielo, la mia vita non vale quella di altri due."
Gli uomini di Miller si guardarono confusi, e un po' vergognosi, sentendo esprimere dallo stesso Ryan le considerazioni critiche che avevano già fatto in precedenza tra di loro.
Il soldato indicò con un gesto i suoi compagni, quelli insieme a cui aveva scortato fin lì la squadra di Miller, quindi i due mitraglieri nella loro postazione, e anche il caporale Henderson.
"Accidenti, questi uomini meritano quanto me o qualsiasi altro di tornare a casa. Hanno combattuto altrettanto a lungo e duramente."
"Dovrei dire questo a tua madre? Che può cominciare a esporre un'altra bandiera a lutto alla finestra?" ribatté Miller.
L'espressione di Ryan si indurì di colpo. "Mia madre non ci ha mai detto che essere vigliacchi fosse una buona cosa."
"Anche perderti non sarebbe una buona cosa."
"Bè, allora le dica che, quando mi ha trovato, ero con i soli fratelli che mi sono rimasti. Le dica che non potevo accettare in nessun modo di abbandonare i miei nuovi fratelli. Le dica questo… e lei capirà."
Stavolta Miller non seppe cosa rispondere.
"Non lascio questo ponte, signore" ribadì Ryan. "Se vuole spararmi addosso per non aver abbandonato il mio posto, faccia pure… anche se non so come potrà spiegarlo a mia madre."
Ryan sfilò davanti a Miller e ai suoi uomini e andò a sistemarsi all'interno della postazione di mitragliatrice.
Miller rimase a fissare l'acqua del fiume, dove si alternavano i riflessi del sole e le chiazze d'ombra degli alberi. Il mondo sembrava pacificato in quel momento. Forse era valsa la pena di fare tutta quella strada, solo per vedere uno spettacolo così…
"Allora che facciamo capitano?" chiese il sergente, venendogli vicino. La sua espressione non tradiva alcuna emozione, ma il suo sguardo sembrava stranamente spiritato.
Horvath aveva parlato a bassa voce, e Miller rispose nello stesso modo; la loro era una conversazione privata, e nessuno tentò di intromettersi.
"Sergente" disse Miller "abbiamo superato una sorta di confine invisibile. Come se fossimo stati inghiottiti da una grossa tana di coniglio."
"Sempre più stranissimo, signore."
Miller sorrise, sorpreso che il suo sergente, un veterano indurito da tante battaglie, fosse capace di citare
Alice nel paese delle meraviglie. "Ma resta la domanda, signore: cosa dice di fare? Arrestare, magari sparare a questo ragazzo che il generale Marshall vorrebbe rispedire tra le braccia di sua madre? Potremmo ferirlo e portarlo indietro a forza; ci rallenterebbe solo un po', e poi chi lo sa? Forse abbiamo già incontrato tutti i tedeschi schierati qui in Normandia."
"Tu che ne pensi, sergente?"
Il sergente abbozzò un sorriso. "Non so se le farebbe piacere saperlo, signore."
"Sputa l'osso, Mike."
Horwath esitò, ma Miller lo guardò severamente, sollecitandolo ad abbandonare ogni reticenza.
"Accidenti, non lo so" sospirò Horvath. "Una parte di me pensa che il ragazzo ha ragione. Non merita un trattamento speciale, e non merita di essere strappato dal suo posto, lasciando nei pasticci i suoi compagni. Vuole restare qui? Bene, lasciamolo qui e torniamocene a casa."
"Una parte di te pensa questo."
"Sì. L'altra parte pensa… e se restassimo qui anche noi, per dare a questi poveracci un po' di quei rinforzi di cui hanno bisogno? E se ce ne andassimo solo dopo, quando Ryan sarà lieto di seguirci spontaneamente?"
"Ah, sì?"
Il sergente si strinse nelle spalle. "Se lo facessimo, qualcuno un giorno potrebbe riconsiderare questa storia e concludere che salvare il soldato Ryan era l'unica cosa che potessimo fare per cavare qualcosa di degno da questo schifo di guerra."
Miller ci pensò sopra.
Il sergente proseguì: "L'ha detto anche lei, capitano, forse dovremmo farlo, dovremmo guadagnarci tutti il diritto di tornare a casa".
Il capitano sospirò, sorrise. "Lo sai, per un attimo, adesso… mi è sembrato di sentire Wade."
"Io, oh, apprezzo il complimento, signore… Comunque, questo è quello che penso, signore."
Ciò detto, Horvath tornò con gli altri, lasciando Miller a riflettere da solo, per qualche istante, prima di prendere una decisione.
Poi Miller andò dal caporale Henderson, vicino alla postazione contornata dai sacchetti di sabbia, e gli chiese: "Qual è il vostro piano d'azione, caporale?".
"Il nostro piano?"
"Come pensate di impedire ai crucchi di attraversare il ponte?"
Henderson fece un gesto vago. "Bè… abbiamo le mitragliatrici ai due estremi del ponte, come può vedere… in più abbiamo minato la strada che attraversa il villaggio…"
Miller annuì, pensoso. "Mitragliatrici e mine potranno al massimo rallentarli per mezzo minuto, o un minuto al massimo. Nient'altro?"
Henderson parve imbarazzato. "No, signore. Solo questo e una decina di soldati che ci sono rimasti."
"Credete forse che vi verranno contro a bordo di carrettini tirati da asinelli? Finora vi hanno considerato nient'altro che un fastidio minore, e si sono limitati a tenervi sotto controllo con qualche fante e qualche mezzo blindato. Ma quando si metteranno in testa di attraversare questo ponte, arriveranno con i tank."
"Lo so bene, signore."
"Forse il vostro nuovo comandante può suggerire qualche idea migliore."
Henderson lo guardò sconcertato. "Chi, signore?"
"Il vostro nuovo comandante" ripeté Miller. "Io."
[…]

Uno dei più bei libri che abbia letto. Credo che valga veramente la pena di leggerlo perché riporta indietro nel tempo, ti fa vivere, per assurdo, un aspetto della Seconda guerra mondiale.
È incredibile come con parole, semplici parole, si riesca a ottenere un effetto così straordinariamente reale, vicino, concreto.
La tensione nell'aria, la paura dei soldati, il loro coraggio, i loro ricordi si possono quasi toccare, si percepiscono. E non si può fare a meno di pensare a quei ragazzi americani morti per l'affermazione della pace e della libertà. Della stessa libertà di cui godiamo noi oggi. Niente più, niente meno.
In particolare la missione di otto soldati che mettono a repentaglio la propria vita per salvare quella di uno che nemmeno conoscono e che magari è già morto. Per riportarlo a casa, tra le braccia di sua madre, la quale si è già vista recapitare tre lettere di decesso degli altri tre suoi figli.
Ryan no.
Lui non può morire, non deve morire.
Penso che con la figura del soldato Ryan si vogliano rappresentare tutti quei soldati che in guerra hanno perso tutto e che possono contare solo sull'unica famiglia che hanno al fronte: quella dei compagni di divisione. Si aiutano, contano ognuno sull'affetto degli altri, riescono anche a scherzare, nonostante le terribili circostanze. E questo è un fattore di grandissima importanza, vuol dire che quei soldati sono rimasti vivi anche dentro, che hanno ancora un briciolo di dignità, di umanità. Non sono spenti e apatici, anche se vorrebbero.
Sono solo dei ragazzi, dopotutto.
Nell'estate del 2008 sono stata in Normandia. Ho ripercorso le tappe dello sbarco, della libertà. Omaha Beach, Gold Beach, Utah Beach… e poi il cimitero degli americani caduti durante la guerra, i bunker tedeschi, le enormi buche delle bombe americane.
Una battaglia, una guerra, era esattamente davanti ai miei occhi.
Non è cambiato niente da quel 6 giugno 1944, forse c'è solo un po' d'erba in più e le città sono state ricostruite, ma l'odore di morte rimane.
Quello non se ne va, non se ne può andare.
Allora io ringrazio tutti quei soldati – americani, francesi, inglesi, italiani – e tutte quelle persone che hanno sacrificato la loro vita per renderla migliore al futuro. A noi.
Grazie ragazzi.


»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni

Copyright © 1999 - Comitato per Sofia - Tutti i diritti riservati.
Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010