Grey
Il mio nome è Grey, ho trentacinque anni. Vivo da sola in un piccolo appartamento in periferia, e con me vive Gatto, il mio gatto.
Spesso mi ritrovo a pensare al perché, perché una donna di trentacinque anni vive con un gatto quando il suo sogno di bambina era un'enorme villa settecentesca con un grosso parco, tanti animali, un marito e tre bambini.
Mediocre: che sta nel mezzo, fra due estremi, ma comunemente, che è inferiore al normale; scarso, di poco pregio.
Non sono mai stata la migliore ma nemmeno la peggiore. Sono sempre stata lì, nel mezzo, non avevo qualcosa in più degli altri ma neanche in meno. A nessuno, che non fosse qualcuno che avesse bisogno di un favore o dei miei appunti, è mai importato qualcosa di me e lo stesso vale per le storie che ho avuto; sono sempre stata troppo insipida e insensata per tutti.
Al liceo non sono mai stata la più brava , ma nemmeno la peggiore, non sono mai stata la più bella, ma nemmeno la più brutta, non ho incontrato persone speciali, ma nemmeno non ho incontrato nessuno, ho trovato degli amici con cui speravo di poter mantenere i contatti per tutta la vita, ma poi ho capito che gli amici si vedono nel momento del bisogno, mai è stata pronunciata frase più giusta, peccato che il momento del bisogno fosse sempre il loro. Io ero quella forte per tutti quindi potevo cavarmela benissimo da sola. Così ho tagliato i contatti con tutti sperando in qualcosa di migliore, che non è mai arrivato. Perché?
Mediocre. Ecco la risposta.
Alla storia, così come alla gente, non importa niente di ciò che sta nel mezzo ma di ciò che sta agli antipodi.
Non vengono mai menzionati i nomi di chi combatteva le guerre, vengono menzionati i nomi dei Re che le vincevano e i nomi di quelli che le perdevano. Il mio nome quindi non era mai importante.
Così eccomi qui, per scelta mia, per scelta degli altri, per via della vita, senza un uomo che 'sta sera mi stia accanto. Guardo sfuggente la tv mentre finisco il mio progetto. Trattandosi di una mansarda ci starebbe meglio un divano a sacco rosso. Sono una designer d'interni. L'unica soddisfazione ricevuta finora oltre al mio diploma con 75/100 e alla mia laurea specialistica con 85/100.
Ho sempre amato riempire e dare un senso a ogni spazio vuoto, ma per una cosa in particolare non ce l'ho mai fatta.
Un divano, un tavolo, quattro sedie, un mobile Ikea, un televisore, un lettore dvd, uno stereo, una cucina.
Un calendario. Vuoto.
È questa la mia cucina abitabile, non un quadro, né una foto, solo un enorme scaffale pieno di libri.
Vado a letto, sono stanca.
Milano al mattino sembra un formicaio denso e pieno di gente stressata. Il cielo è bianco, colpa dell'umidità, già perché da quello che mi ricordo dagli studi di fisica del liceo, l'ordine di grandezza delle particelle diffondenti della luce è più grande di quello delle normali particelle presenti nell'atmosfera trattandosi di gocce d'acqua, quindi tutti i colori dello spettro della luce hanno la stessa probabilità di essere riflessi e il colore che ci appare non è altro che la composizione additiva dei colori che dà come risultato quel bianco-grigiastro tipico delle giornate umide o nebbiose.
Arrivo in ufficio e il capo mi attende nella sua stanza per il progetto, glielo presento, la sua faccia non è molto espressiva, è come se avesse paura di ferirmi con il suo commento.
"Vada pure capo, non sarà di certo lei a scagliare il colpo che mi farà venire voglia di finirla qui!".
Apre la bocca. Accenna a qualcosa: "Mmm… beh…".
"Vada capo", penso io.
Riprende: "È una via di mezzo tra ciò che ti avevo consigliato e ciò che non avrei mai voluto che tu disegnassi, non so… non mi convince. Non è né bianco né nero, non mi riesco a spiegare! A nessuno importerà mai nulla di qualcosa di così, come dire… hai capito vero?".
Certo, avevo capito benissimo, avevo capito cosa voleva dire.
La chiave di tutto, la parola mancante era proprio Grey.
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