Ferragosto
Il sole bagna le pareti
nella loro penombra
statica e gorgogliante
del tremolante e fragile
pomeriggio
estivo.
Niente più
scodinzola nelle strade,
nessun rumore e
nessuna saracinesca
lievitano ormai
i loro stridori.
Ogni anima delle case,
dei negozi,
delle strade,
si sdraia supina,
apparentemente immobile
sotto la stella diurna,
che sembra voler affittare
un giorno dell'anno.
Ho soltanto
una manciata di fogli
stesi a pancia in su
sulla scrivania.
Ansimano e sudano.
Posta alla porta.
Spero sia una sua cartolina,
come quelle tante che
mi spediva,
con il francobollo
aggrappato sul retro con la saliva
e con l'aroma di petali
delle sue mani
che come polline
stagnava sulla carta.
Per me.
Per noi.
Apro la porta.
Ma è solo pubblicità.
Dev'essere stato
l'unico postino
al lavoro oggi
in tutta la città.
E ha trovato me.
Non percepisco la carta nelle mie dita.
Non si vuole insidiare
alcuno sfregamento,
anche minimo.
M'inabisso nella poltrona
come i bagnanti al lido,
nelle braccia del mare,
e il ventilatore si accende.
Ha forse capito
che i miei sensi
vogliono assaporare
arie diverse.
I fogli scappano
e planano
fuori dalla finestra,
verso il mare.
Forse
per godersi
il pomeriggio più statico
e ridondante dell'anno.
Questo pomeriggio di Ferragosto.
Ma io sono a casa.
In casa.
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