La Torre
Disse un nome. Eiffel. "Sì, la Torre di Parigi" risposi senza neanche pensarci. Allora si alzò e andò verso la grande libreria marrone e panna, fece un po' di fatica nel prendere il volume numero cinque dell'enciclopedia del 1967, quella verde, posandola sul tavolo con un tonfo.
Si sedette al tavolo rotondo, vicino a me, soffiò sopra al volume per pulirlo dalla polvere accumulatasi e poi, lentamente, lo aprì.
Durante tutte queste operazioni quasi rituali, io stetti a osservare attenta ogni suo movimento.
Superò la lettera D – le sue grosse dita sulla carta ingiallita provocavano un suono piacevole, una sensazione da brivido sulla mia pelle – e arrivò alle E. Ei. Eif.
…Eccola lì, fantastica come sempre.
La sua fotografia occupava un'intera pagina, il grigio dell'acciaio sull'azzurro felice del cielo. Pareva volare.
Allora calore, meraviglia e fascino, nuotarono nei miei occhi di cioccolato fuso, la stessa sensazione che provai la prima volta che andai a Parigi e la vidi, la Tour Eiffel.
Quando ci salii ricordo che le scale mi provocavano un forte senso di vertigine, paura di cadere nel vuoto, precipitare, ma poi, arrivando in cima, ricordo di aver voluto possedere due ali, per volare con il vento che mi scompigliava i capelli e sferzava gelido sul mio viso, provocando lacrime calde.
Persa nei miei ricordi lo guardai, lui guardava la foto e la scrutava in ogni suo dettaglio. Preciso e paziente, come è sempre stato, mio nonno.
"La Tour Eiffel" pronunciò la parola Eiffel con l'accento sbagliato, dandole un che di buffo.
Sorrisi incerta, "Sì" dissi semplicemente.
Rimanemmo in silenzio per un po' e io aspettai che mi mettesse al corrente dei suoi pensieri, così illeggibili dai suoi occhi.
Poi parlò, spezzando una magia ma creandone una forse ancora più forte e più segreta: disse di volerla riprodurre con i fiammiferi, un'arte davvero insolita ma estremamente bella e misteriosamente intima, di cui lui è maestro.
Aveva già creato diversi piccoli capolavori e aveva già provato a ricreare la Torre più famosa di Francia, ma vi aveva rinunciato dopo aver terminato una delle facciate frontali, asserendo, logicamente, che i fiammiferi non sono curvi e di aver impiegato troppo tempo a tagliarli tutti uno per uno in piccoli pezzetti.
Alzai le sopracciglia, meravigliata "Ma non è troppo difficile?"
"No, solo che devo trovare un altro modo per tagliare e limare i fiammiferi. È un lavoro lungo."
"Quando vuoi cominciare?" chiesi curiosa come sempre.
"Subito!" la sua risposta detta con un sorriso furbo sulle labbra mi suonava come ovvia.
Senza perdere tempo andò a prendere la scatola dove teneva i fiammiferi già usati e quindi bruciati: "Bisogna usare fiammiferi già usati perché creano le sfumature nere, che sono interessanti e non annoiano l'occhio"; la mise sul tavolo, accanto al tomo dell'enciclopedia, prese la lima, la colla e tutti i suoi strani attrezzi e si mise gli occhiali.
"Le tue mani sono troppo grosse per quei piccoli fiammiferi" osservai.
"Già" confermò con un cenno del capo, ma io pensai che tanto lui sapeva fare tutto. Poi mi spiegò. Mi spiegò come tagliare, come limare, come incollare bene, come usare tutti gli strumenti di misurazione. Mi spiegò tutto.
Poi mi fece provare ma io ero pasticciona e disordinata: ehi!, sembrava molto più facile quando mi spiegava tutti i passaggi uno per uno.
Ridemmo dei miei errori e io rimasi estasiata dalla precisione dei suoi movimenti così mirati ed esperti. "Ora sono stanco, vuoi un caffè?" mi chiese togliendosi gli occhiali.
Gli risposi senza usare parole, ma con la stessa espressione di un bambino cui viene offerto un cono gigante di gelato, e lui si mise a ridere, con quella sua risata un po' sghemba.
Per portarmi avanti presi i biscotti-rotondi-alla-panna e quando lui tornò nel salotto con le tazzine e la caffettiera, facemmo un'abbondante merenda.
"'Ccio'! Non ne mangiare tanti!" mia nonna sdraiata sul divano ammonì mio nonno che assunse un'espressione innocente, facendomi ridere di gusto.
Driiiiin! Il campanello di latino cominciò a suonare nella mia testa e capii che era ora di tornare a casa, anche se sapevo che non sarei riuscita a concentrarmi molto, certa anche che avrei passato i giorni seguenti pensando e ripensando a come sarebbe dovuta venire la nuova creazione in corso, un'opera lunga e faticosa, ma che avrebbe portato una grande soddisfazione. Ne ero certa.
Tornai a trovare i miei nonni regolarmente, ma quando chiedevo e cercavo di informarmi sullo sviluppo della Torre, mio nonno sviava l'argomento e faceva il finto tonto, così dopo qualche tempo smisi di chiedere, pensando che avesse lasciato perdere come la prima volta: effettivamente era davvero troppo difficile! Ma non impossibile…
Qualche mese dopo citofonai, salii le scale e varcai la soglia, salutando allegramente, come sempre.
Appena entrai in salotto dire che rimasi a bocca aperta è come dire che un elefante è piccolo.
La mia sorpresa fu tanto grande quanto incredula e meravigliata.
Ero letteralmente senza parole e mio nonno, vedendomi così, si mise a ridere.
L'aveva finita.
La Tour Eiffel troneggiava sul tavolo del salotto, proprio al centro, tutta di fiammiferi, non troppo alta ma nemmeno troppo bassa, e appena lucidata si ergeva in tutto il suo splendore.
Era la Tour Eiffel più bella che avessi mai visto. Senza dubbio.
Sapere che una parte infinitesimale di quel meraviglioso capolavoro era opera mia – la parte assemblata da me si riconosceva subito, dando all'opera complessiva quel non so che di misterioso e segreto – mi rendeva immensamente fiera, nonostante tutto.
E poi, beh, quell'incanto era opera di un artista, un artista vero, che ci aveva messo tutto il suo amore, tutta la sua concentrazione e la sua pazienza, tutta la sua volontà e il suo impegno. Che ci aveva messo tutto quanto se stesso.
E finalmente lo capii: mio nonno era un artista, lo è sempre stato. Ma non solo un artista che dipinge o crea, questo infatti l'avevo già capito da un po', ma un artista nell'animo, nel cuore.
Un Artista con la A maiuscola. L'Artista per eccellenza.
E glielo lessi negli occhi, nello sguardo pieno d'amore che riservava solo a mia nonna, lo stesso sguardo carico di calore che le rivolse, chiedendole come stava il suo Ammmorrre.
Sì, mio nonno è un Artista, finalmente lo sapevo, finalmente ho saputo riconoscere l'Arte e la Poesia.
Finalmente ho capito chi voglio diventare. Creerò magie e segreti, proprio come mio nonno, sì, proprio come un'Artista.
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