Il ricordo di una speranza d'oltremare
Per me leggere significa soprattutto vivere un ricordo e un viaggio; significa fare mio il ricordo del viaggio di chi scrive, riviverlo e farne materia di riflessione e arricchimento personale
È un soleggiato pomeriggio d'autunno. Il parco della città è tinto dai più vivaci colori, che sfumano dal rosso brillante al giallo dorato. Seduta ai piedi di un vecchio ciliegio spoglio, osservo alcuni bambini giocare assieme ai genitori, avidi di godersi fino in fondo questa giornata particolarmente bella. Mi prende una grande nostalgia e senza nemmeno accorgermene mi si inumidiscono gli occhi. Tutto diventa un soffuso color verde dell'erba e un rossore delle foglie degli alberi. La mia mano corre meccanicamente alla borsa da dove tiro fuori un consunto libricino. È una raccolta di poesie. Il mio sguardo percorre il susseguirsi di quei caratteri famigliari e se chiudo gli occhi mi sembra di poter sentire una voce famigliare, di poter rivedere un paesaggio famigliare, di essere a casa.
Sono in un campo di riso e aiuto i miei genitori a estirpare l'erbaccia. Il largo cappello di paglia intrecciata da mia nonna mi protegge dal sole cocente, mentre agli insetti quasi non faccio più caso. Intoniamo una canzone popolare per alleviare la fatica e la noia. Prima del tramonto abbiamo finito il lavoro e la mia schiena, ormai allenata, sembra essere ancora in grado di reggermi.
A passo spedito, come ogni sera prima di desinare, corro dal mio maestro. Ha la fattoria a pochi passi dalla mia. Lo trovo in cortile mentre dà il mangime al pollame. Quando mi vede mi fa un cenno e mi invita a entrare. Mi offre il solito tè verde che lui stesso coltiva; è il più buono, non ne dimenticherò mai l'aroma e il profumo.
Tiro fuori il prezioso libricino di poesie che lui mi ha regalato alla fine della sesta. Iniziamo a leggere insieme una poesia. Seguo il suo sguardo, la sua voce e lui a volte si interrompe per spiegarmi alcuni passi difficili, e ogni volta io riscopro qualcosa di nuovo, una sensazione, un'immagine. Di tutta la giornata quello è il momento che preferisco e non riuscirò mai a ringraziare abbastanza il mio maestro per il tempo che mi ha dedicato.
Avrei voluto iscrivermi alle superiori una volta preso la licenza media perché mi piaceva studiare. I miei genitori avevano fatto quello che potevano, ma contro la natura poco generosa non si può molto. Mio padre diceva che stava invecchiando e non era più efficiente come una volta, nonostante non avesse ancora superato i quarantacinque anni. Ma era vero, me ne ero accorta da un po' di tempo che a volte, sul campo, mentre seminava o arava il terreno, si faceva prendere da improvvise fitte a un fianco. Allora si premeva con una mano il punto in cui gli faceva più male e andava avanti a lavorare, mentre la fronte grondava sudore, non so se per lo sforzo del lavoro oppure per il dolore, o forse per tutte e due. Qualche volta il dolore doveva essere così atroce perché per ignorarlo si mordeva un labbro fino a farselo sanguinare. Di tutto ciò però a me non diceva mai niente e anche quando chiedevo a mia madre lei si nascondeva il volto e cambiava discorso.
Quell'anno fu davvero duro. La siccità rischiò di prosciugare e rovinare tutto, ma posso lo stesso considerarmi fortunata perché io e i mie cinque fratellini non soffrimmo mai veramente la fame. Avevamo i nostri maiali e il nostro pollame, e potevamo per lo meno contare su due pasti al giorno se lavoravamo sodo nei campi.
Mi faceva soffrire non poter andare a scuola ma almeno avevo il mio maestro che possedeva una piccola biblioteca personale, era una vera ricchezza allora, e mi prestava sempre i libri che volevo.
Presto incomincia a far buio, mi congedo con un saluto affettuoso dal mio maestro che ormai considero come se fosse mio nonno, e ritorno a casa. Già sulla soglia mi accorgo che c'è uno strano movimento in casa mia. Sull'unica poltrona consunta del nostro piccolo soggiorno vedo seduto un uomo di mezza età che non ho mai visto prima e tutt'attorno la mia famiglia riunita al completo, tutti attentissimi a quello che lo sconosciuto sta dicendo. I miei fratellini più piccoli mostrano la solita curiosità dei bambini per le novità, ma visto che nessuno sembra badare a loro e non riuscendo a capire quello su cui i grandi stanno discutendo, presto tornano a giocare in un angolo. Nemmeno io inizialmente riesco a cogliere il senso del loro discorso, anche perché lo sconosciuto parla il nostro dialetto con uno strano accento. Colgo solo frasi su un paese lontano, su grandi possibilità e ricchezza. I miei genitori invece sembra che abbiano capito tutto e ogni tanto annuiscono. Sono preoccupati. A un certo punto si voltano e mi vedono. Il loro sguardo si fissa su di me come se mi guardassero per la prima volta, come se non mi avessero mai visto veramente prima d'ora. Nei loro occhi vedo angoscia, pena, tristezza. Mi si stringe il cuore ma non ne capisco il motivo, sento un brivido percorrermi la schiena e una strana inquietudine mi pervade. I miei genitori paiono accorgersi finalmente della mia presenza, mi chiamano appresso e mi presentano l'uomo di mezza età. È un nostro lontano parente. Sembra gentile.
"Ti va di fare un bel viaggio lontano da qui?"
"Io… non… non lo so" balbetto sorpresa da questa domanda inaspettata. L'uomo sorride e si congeda. Nella stanza avverto un'aria tesa.
Quella sera a cena non parlò quasi nessuno, sembravano tutti molto pensierosi, persino la piccola peste stava chiusa in un silenzio religioso quasi a voler emulare la serietà dei grandi. Mentre mi preparavo ad andare a letto mi chiamò mia madre. Ci sedemmo sul letto di paglia della sua stanza. C'era anche mio padre, in piedi davanti alla finestra. Guardava fuori, verso il buio, ma il suo sguardo sembrava andare oltre. Mia madre iniziò a parlare con voce tremante.
"Sai che hai una prozia che vive molto lontano da qui?"
"Sì, lo so."
"Ti piacerebbe andare a vivere da lei?". Prima che potessi replicare lei proseguì dicendo: "Lei è ricca ora. Emigrò anni fa. Certo ha dovuto faticare tanto ma adesso è benestante. Ha una casa, i figli si sono sposati e vivono tutti molto bene lì."
"Mamma, lo so che non siamo in un periodo facile ma vedrai che riuscirò a trovare un lavoro anche qui" risposi, mentre, senza capire bene perché, sentivo già un doloroso nodo alla gola e le lacrime bagnarmi le guance. Mia madre mi accarezzò e mi abbracciò forte. Mio padre smise di fissare il vuoto, mi si avvicinò accarezzandomi la testa.
"Io ho un tumore all'intestino, il sostentamento della famiglia d'ora in poi dipende da te". Mi abbracciò. Piangemmo così tutta la notte, mi sembrava di aver versato allora tutte le lacrime che avevo, ma mi sbagliavo.
Arriva la primavera, i ciliegi che attorniano il mio cortile si caricano di delicati fiori rosa. Ogni soffio di vento si colora dei candidi petali. Gli uccelli cantano. È un trionfo di verzura. Il cielo è un mare limpido. Questa è la mia stagione, la tanta attesa primavera, la festa della natura.
Tutto è pronto. Mi aiutano a caricare le valige in una vecchia automobile. In pochi mesi mia madre è invecchiata tanto, mio padre è sempre più malato. Mi sanguina il cuore a separarmi da loro, ma per loro lo devo fare. Il mio villaggio mi saluta. La mia sorellina mi porge un ramo di ciliegio fiorito.
"È per te, i tuoi fiori preferiti".
"Grazie".
Il mio maestro, in lacrime, mi augura ogni bene: "Quando sarai triste e ti sentirai sola leggi le poesie, ti ricorderai di noi".
"Sì, lo farò." e scopro di avere ancora molte lacrime da versare. Devo partire. Sono tutti là, tutto quello che di più prezioso ho è là, riunito sotto i ciliegi in fiore; e io mi allontano nella direzione opposta.
Quella fu la mia ventunesima ma anche ultima primavera.
Da allora la mia preoccupazione fu passare la frontiera. La macchina mi lasciò alla stazione della città. Presi un treno per il paese vicino assieme ad altre quattro donne, due uomini e il mio parente di mezza età. Passammo una settimana sul treno mangiando cibi in scatola.
Dopo aver soggiornato per più di un mese in uno squallido albergo di quel paese straniero salimmo tutti su un camioncino che ci condusse al porto.
La stiva della nave che ci ospitò per quasi un mese la lasciammo col cadavere di una delle quattro ragazze, la più fragile.
In piena estate arrivai nella giungla asfaltata di questa città, la dimora paradisiaca dove la mia prozia si diceva avesse fatto la sua fortuna.
È tutto estraneo, la gente, la lingua, il paesaggio. Ma non importa, non devo conoscere tutto ciò. D'ora in poi la mia casa sarebbe stata la cantina del laboratorio dove lavoro tutti i giorni, dalla mattina fino anche oltre le due di notte. Quanto mi sbagliavo quella notte in cui tra le braccia materne credevo che il mondo mi fosse crollato addosso e di aver pianto tutte le mie lacrime. Scopro ogni notte di avere un serbatoio inesauribile di lacrime da versare. Eppure sono riuscita a superare due autunni, così ho saldato il debito del viaggio, soldi che la mia prozia mi aveva anticipato.
Ora posso lavorare per me e inviare più denaro ai miei famigliari. Mia madre non sarà più costretta a zappare la terra, mio padre mi perdonerà se non sono riuscita a essere al suo capezzale.
Ora posso dedicarmi per cinque minuti al mio libro di poesie, la mia consolazione. Ma io sono ancora sotto un vecchio ciliegio spoglio.
Medito con lo sguardo perso dietro il lento navigare di candide nuvole in un immenso cielo azzurro, illuminato da un caldo sole primaverile. All'improvviso le mie sorelline sfrecciano sopra di me sui loro hydro-skate, fanno un paio di piroette in aria e mi invitano al gioco.
"Dai sorellona vieni a giocare con noi!".
"Arrivo!". Mi appoggio al tronco del giovane ciliegio e mi alzo. Prima di andare mi volto ad ammirare il fresco albero in fiore. Tutto il parco è un trionfo di candidi fiori di ciliegio e il vento trasporta una cascata di morbidi petali. Io adoro la primavera e i fiori di ciliegio sono in assoluto i miei fiori preferiti. Mi pervade una profonda amarezza e istintivamente stringo forte il libricino che tengo in mano e mi porto al cuore un altrettanto consunto diario.
Stacco un ramo di ciliegio in fiore. Lo porterò alla mia bisnonna, erano i suoi fiori preferiti. Anche se il giovane ciliegio piantato vicino alla sua tomba ormai la ricopre di fiori glieli porterò lo stesso e le renderò il suo prezioso libro di poesie.
A me bastano le sue memorie e dirle col cuore grazie.
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