Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
13ª edizione - (2010)

L'esperienza della lettura

La lettura è qualcosa che nasce di pari passo col cuore dell'uomo e che cresce assieme a lui. In principio impariamo a muovere i primi passi, poco dopo a dire le prime parole: il grande passaggio successivo consiste nell'imparare a leggere. L'atto del leggere è qualcosa di avventuroso e di affascinante a prescindere dall'età e da ciò che si sta leggendo; tuttavia fa comunque sorridere pensare a una persona che a tre anni monta scenate incredibili per convincere, o costringere, la mamma a leggerle un'altra favola, che qualche anno dopo, tutta emozionata, seduta su di un banco di scuola scopre di poter mettere su carta tutto ciò che le passa per la testa, e che infine, passati altri anni, disdegni la letteratura nel modo più assoluto. Forse l'adolescente che oggi viene etichettato come normale non ama leggere unicamente perché il sedersi davanti a un libro procura piacere e vantaggi meno immediati rispetto a una frizzante playstation, oppure ha già troppi altri impegni che gli impediscono di poter godere della compagnia di un bel romanzo, o piuttosto perché vede nell'atto del leggere una sottomissione a qualcosa di imposto dal professore. Certamente crescendo la situazione non può che peggiorare, perché gli impegni si mutano in lavoro e allora il tempo si finisce per non averlo più, e subito si rimpiangono tutti quei momenti irrecuperabili buttati via da ragazzi. Una volta vecchi forse si hanno più cose da dire che da sentirsi dire, anche se dette da un libro (nonostante l'uomo non smetta di imparare a nessuna età). Io stesso non sono più, lo ammetto, un accanito lettore: da piccolo divoravo i volumi, imboccato da una madre che m'ha sempre fornito ottimi pasti; poi però crescendo sono caduto nella trappola di sottovalutare la forza inarrestabile del libro, e di rivolgere la maggior parte del mio tempo a passatempi meno nobili e senza ombra di dubbio meno costruttivi. Ma se si arriva addirittura a un certo punto della vita, in quella forgia di anime colte chiamata scuola, a obbligare le persone a passare ore chine su fiumane di parole, spero chiunque concordi con me che ci deve essere sotto un motivo parecchio importante. Non credo che oggigiorno gli stessi adulti si ricordino del perché obbligano i ragazzi a leggere: certo, anche per farsi una cultura, questa è un'argomentazione sempre valida e giusta. Tuttavia ritengo di non sbilanciarmi troppo se ammetto di pensare che questo fantomatico motivo perso nei meandri a tinte pastello della nostra infanzia (a quei tempi così limpido in testa, ma così difficile da strillare per pura carenza di lessico) sia un altro.
Io leggo perchè leggere è vita. I libri sono vita. Anzi, mi correggo: non una, ma ben due vite. Per tentare di spiegare questa mia affermazione, ricorro al professor Robin Williams Kitting de L'Attimo Fuggente: (…) non leggiamo e scriviamo (…) perché è carino. Noi leggiamo e scriviamo (…) perchè siamo membri della razza umana, e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia… la bellezza, il romanticismo, l'amore… sono queste le cose che ci tengono in vita.
Ritengo che tutto questo sia molto vero. Io -ma in cuor mio, penso tutti- leggiamo perché siamo umani. E la letteratura è intrinseca a questa nostra condizione umana, perché in quanto umani viviamo, e cosa c'è di meglio che farsi una bella bevuta di vita, di tanto in tanto, leggendo un bel libro?
Cos'è che l'uomo agogna di più? L'immortalità, la vita per sempre. E cos'è che l'uomo teme di più? L'ignoto, il non sapere cosa lo attende.
Per questo leggiamo e per questo scriviamo. Leggiamo perché vogliamo scrutare vite altrui, vogliamo sapere cosa succederà: non tanto per ignobile curiosità, quanto perché coltiviamo dentro una domanda riguardo il nostro avvenire. In linea di massima è anche il principio che sta dietro la visione di un film. Leggere ci rassicura, ci rafforza, perché ci fa mettere a confronto la nostra unica e inimitabile esistenza con altre due contemporaneamente: quella dello scrittore e quella del protagonista (o dei personaggi, o dell'argomento di cui il tomo tratta). Leggendo diventiamo piccoli oracoli, profeti, e abbiamo la possibilità di confrontarci. Ma questa cosa succede solo a me? O anche a lui? E sarò forse l'unico ad aver paura di questo? Ah, ma lui fa così? È un'idea! O se oppure…
Leggere è un incontro vero e proprio.
E per questo aggiungo: qual è la lettura più avvincente che si possa mai fare? L'amicizia. L'incontrare, conoscere e dialogare con altre persone. Gli altri non sono forse, alla stregua di un libro, vite contenenti drammi, amori, gioie, tragedie, credenze, idee in attesa di essere confrontate? Non bisogna tuttavia peccare di orgoglio, affermando di aver capito tutto di una certa persona, o di un certo libro. L'essere umano nella sua mortalità è infinito e il libro sua opera, specchio del suo essere, è infinito anch'esso. La vera meraviglia dell'essere uomini è che dentro a questo involucro di vene e carne che ci avvolge pulsa qualcosa di insondabile, illimitatamente esplorabile ma giammai contemplabile nella sua completezza. Solo una persona accarezza la nostra esistenza nella sua pienezza: lo Scrittore per eccellenza, e noi viviamo sulle pagine del Suo romanzo. Già, ogni tanto mi diverte pensare di camminare e respirare su gigantesche pagine colorate da cieli infiniti, stelle incandescenti e sangue rovente, sulle quali Lui scrive noi.
L'uomo è infinito eppure di per sé è incompleto. Ma quante più esistenze un uomo incontra, tanto più si completa, tanto più sarà felice. Leggere è quindi fondamentale, e non potremmo vivere senza, tanto è vero che fin dalla Preistoria nella quale non esistevano carta e penna l'uomo ha sempre narrato e ascoltato storie. La lettura, evoluzione moderna di questa nostra naturale tendenza alla creatività e alla curiosità, è nata assieme a noi miliardi di anni fa. Ci fa battere il cuore ora, come continuerà a fare nei millenni a venire.
Di pari passo con questo cammina la scrittura. L'uomo scrive da sempre (o, più genericamente, inventa da sempre) in quanto dotato di due grandi esigenze: la tendenza al creare e lo spasmodico bisogno di non morire.
È intrinseco nella natura dell'uomo il creare, ed è altrettanto intrinseco il morire. Noi, che facciamo, sentiamo, diciamo tante belle cose, che ci crediamo importantissimi, che studiamo e amiamo, e che per questo piangiamo e soffriamo, siamo nati cenere e cenere ritorneremo. Nient'altro. Indi per cui vogliamo essere immortali. Davvero esistenze tanto straordinarie come quelle umane danno come frutto nei cieli un posto in Paradiso ma sulla Terra soltanto una triste lapide ? Ah, che imbroglio! Così nessuno saprà mai, a dispetto del nostro meraviglioso essere, chi siamo stati o per cosa ci siamo battuti, per cosa abbiamo vissuto e perché siamo morti, tutte esperienze di vita che possono davvero aiutare i nostri posteri. Per evitare tutto ciò, dobbiamo lasciarci dietro un segno, una traccia, qualcosa che ci renda sempre presenti. E quindi creiamo. Lasciamo la nostra firma. Ma qual è quella opera umana che meglio può raccontare di noi, visto che scaturisce dalle nostre mani apposta per raccontare? Neanche a dirlo, il libro. Il pulpito da cui gridare con tutta la nostra voce anche quando saremo sotto un paio di buoni metri di terra.
Il modo che permette di confrontarci con gente del passato, oltre che del presente. Come ci ricorda Ruskin, abbiamo perennemente a disposizione un tesoro immenso costituito dai pensieri, dalle memorie, dalle vicende che hanno reso immortali i più grandi uomini del passato, e tuttavia passiamo la maggior parte del nostro tempo senza badarcene. Noi che pretendiamo tanto di risplendere in questa società dei vivi -e che su questa preoccupazione investiamo tutta la nostra vita- non abbiamo il coraggio di metterci a confronto con certe figure ormai leggendarie, non ricordandoci che potremo davvero dire di essere arrivati da qualche parte in questa vita presente soltanto quando saremo in grado di dialogare con quelle persone di grande rilievo che tutt'oggi ci guardano con sguardo amorevole e curioso dall'alto delle nostre librerie; mentre noi, temendo di essere messi alla prova, anche quando ciò consiste nel migliorare e nel crescere, fuggiamo impauriti i loro sguardi senza età. Scrittura e lettura sono un dialogo surreale fuori dal tempo e dallo spazio: ciò che tutti quegli uomini scrissero e decisero di mettere alla prova nel tribunale della storia è passato di bocca in bocca, di pagina in pagina; una voce eterna guizzante come un delfino su onde d'inchiostro. Le loro volontà sono corse così lontane da essere giunte persino a noi, e se quando noi moriremo nessuno saprà che un tempo siamo esistiti, invece il pensiero di qualche uomo magari più misero o più umile di noi, e nato tanto tempo prima, continuerà a procedere lungo quei sentieri di carta fino alla fine dei tempi. E che non si dica che un'opera letteraria, di qualsivoglia genere, sia noiosa, perché può essere tale per me o per te ma a un'altra persona, di qui fino alla fine del mondo, piacerà; e di sicuro è piaciuta ed è stata il dono alla propria e alla nostra vita da parte della persona che, anni fa, la scrisse.
A mio parere tutti dovrebbero scrivere, allo stesso modo in cui bene o male tutti leggono. Senza avere pregiudizi o vergogna. Se ci è stato dato un cuore che batte, perché non santificare questa cosa con le nostre azioni e coi nostri pensieri, scrivendolo? Perché scomparire come se tutta questa meraviglia che siamo -nonostante ciò che si dice oggigiorno in giro, e nonostante ciò che la società ci riduce a essere- non avesse mai calpestato la terra? Non è forse meglio che la nostra esistenza continui a riecheggiare nella memoria della gente e nelle fosche caverne del tempo, assieme alla nostra vita e ai nostri pensieri, piuttosto che vada estinguendosi in una tomba? Siamo fuochi fatui o siamo forse qualcosa di più? E allora perché avere timore di dirlo?
Leggere e scrivere: due cose all'apparenza banali, ma che ci tengono in vita.
Chi dice che leggere non gli piace mente, perché non sarebbe umano. Qualcosa senza ombra di dubbio è stata scritta apposta per lui.
Ho continuato a generalizzare usando la prima persona plurale nonostante, come scritto all'inizio, questo sia il motivo per cui leggo io: ma forse è anche il motivo per cui tutti esistiamo. Cioè per vivere, e poi raccontarlo. Per amare, e lasciare questo amore echeggiare nei secoli affinché altri ne possano venire a conoscenza e goderne come noi, grazie a quel vincolo abbracciato da una colorata copertina stretto fra chi, tempo fa, non ha voluto morire e chi, oggi, se ne sta chiedendo il motivo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010